Per gli studiosi, la visione delle divinità in India costituisce una capitolo molto difficile, e qui si trovano molti caratteri, come il monismo*, il monoteismo, l'enoteismo** e il politeismo. Sin dal periodo vedico la situazione è complessa: la figura divina può assumere gli attributi e le forme di altre come manifestazioni subordinate, mentre nel contempo si afferma l'unità del dominio degli dei o l'esistenza di un'entità unica sotto diversi nomi. Un celebre passo della Brhadàranyanupanishad riduce il numero degli dei da 333 a 3003 inizialmente a 33, poi a 6, 3, 2, 1½ e infine 1 soltanto!
Nella purva
mìmàmsà invece gli dei sono considerati accessori del sacrificio, e si ammette una pluralità di figure divine soggette alla trasmigrazione, senza che poi esista un Dio nel vero senso del termine.
Quello che poi rende tutto ancora più complesso è l'esistenza di un principio Assoluto (il Brahman), a cui si attribuiscono tratti divini; questa sostanza può avere tante definizioni, ma queste non potranno mai definirlo con esattezza e correttezza, perché esso, come si dice nelle
Upanishad, è indefinibile.
Nella
Sàmkhya il Brahman è associato alla natura/materia (prakrti) di cui è fatto il cosmo empirico.
Solitamente invece sono le figure virili, come Shiva e Vishnu a designare l'ishvara (il Signore), fungendo da ipostati del Brahman. La trimurti, il complesso di tre deità innalzate sopra ogni pantheon sono da un lato Shiva, che è distruttore del mondo, e poi lo ricostruisce, dall'altro Vishnu, che dilata lo spazio con i suoi 3 passi che apre al sole o al dio guerriero Indra. A queste due figure se ne aggiunge una terza, il "demiurgo" (per parlare in termini occidentali ) Brahma, il cui nome è il maschile del neutro brahman, che deriva dall'spostasi del sacrificio cosmogonico nei Brahmana.
La trimurti forma una triade funzionale in relazione con i tre guna (qualità, cfr Sàmkhya), e cioé il tamas (qui associato al colore nero), il sattva (associato al bianco) e il rajas (associato al rosso). In questa triade, le attività di liberazione, sostegno-conservazione e riassorbimento del cosmo a ognuno dei quali è associata sono considerate compito del brahman, «signore» che delega agli altri due (più al terzo, Brahman, suo alter ego).
Molti dei che abitano i paradisi sopra di noi sono anch'essi succubi della legge del karma, soffrono cioé delle loro azioni negative, e godono di quelle positive; queste figure, che potrebbero sembrare umane, si differenziano da noi per varie peculiarità, come l'assenza di sonno, la mancanza di ombra, il restar sospesi sopra il suolo o poter moltiplicare il corpo. Gli dei inoltre si riproducono attraverso rapporti meno affannosi dei nostri: basta uno sfioramento dei membri, o l'emissione di sudore, o l'invocazione mentale di una caerta figura per apparire dinanzi al proprio creatore.
Differentemente da questo la vita sessuale riproduttiva del «Signore» e della sua divina paredra compare nel mito con caratteristiche di intensità ed energia che fanno impallidire la realtà umana: gli abbracci divini durano migliaia di anni, alcune divinità nascono da delle trecce strappate durante impeti di rabbia, da secrezioni organiche, da gocce di sangue o sperma orato dall'isopportabile fulgore.

Il rapporto degli umani con tali divinità è assai pericoloso: se la devozione spinge a concepire una relazione erotica con esse, si tratta spesso di amore platonico, nel quale è bastevole uno sguardo per portare all'estasi. Nel mito invece, dalla semplice recitazione di un mantra il dio si unisce alla donna umana, dalla quale nascerà un figlio fornito di doti eccezionali.
L'avatara° può convolare a giuste nozze, o come nel caso di Krishna, dare interese per una folla di amori giovanili o concubine.
Tali discese polarizzano così tanto l'attenzione che si perde interesse per la figura che si manifesta in esse: ciò consente agli dei di operare per mantenere l'ordine sociale o dispensare insegnamenti pur continuando a svolgere i loro compiti sovrannaturali. Solo in qualche caso si ha la discesa plenaria (purnavatara) nella persona di qualche maestro, ed è soprattutto la figura di Krishna a scendere, che con la sua discesa fa da spartiacque; l'era attuale inizia proprio con la sua morte, fissata dall'astrologo Aryabata il 18 febbraio 3102 d.C. E' ancora un avatara il misterioso Kalkin, che porrà fine col suo regno millenario a questo periodo (cfr. Shrimad Bhagavatam) Non c'è pensatore moderno inoltre al quale non sia attribuito l'onore di essere un avatara: dopotutto ogni guru, nel momento dell'iniziazione invade il suo discepolo.
In particolare nei riti tantrici l'adepto cerca di fare in modo che il suo copro diventi la dimora del dio, in modo che le sue volontà vengano effettuate tramite l'individuo.


*«dottrina filosofica che riconduce a un unico principio la molteplicità solo apparente dell'esperienza».
**«atteggiamento religioso di chi adora una divinità come unica, pur senza avere la convizione dell'esistenza di un solo Dio».
° con questo termine si intende una discesa, una incarnazione del dio Vishnu con lo scopo di ristabilire l'ordine cosmico turbato da potenze demoniache; successivamente il concetto si è allargato a Lakshimi, la paredra del dio, così come ad altre divinità brahmaniche, anche se la parola è rimasta più legata ai culti vishnuisti)





Agli induisti sembra importante non tanto venerare una particolare divinità per averla propizia e stornarne la collera, quanto raggiungere l'interiore intuizione della sfera in cui essa si muove ed agisce, per conseguire l'identificazione estatica con essa e trasporsi in un mondo di imperitura beatitudine, liberi dai ferrei vincoli dell'esistenza. Per loro infatti gli dei non sono entità astratte che stanno fuori di noi a contemplarci e a giudicarci, bensì le medesime potenze di cui è intessuto il nostro essere; sono le qualità o i difetti che traspaiono nella costituzione stessa della nostra anima, le forze che reggono la nostra impalcatura fisica. Da questo risulta che l'uomo è realmente artefice del proprio destino e gli dei, con tutta la loro potenza, non possono intervenire di propria iniziativa a mutare ciò che l'uomo è divenuto; l'uomo però può però invocare gli dei, meditarli, e con l'ardore della sua devozione, risvegliare enro se stesso le forze risanatrici del destino, forze delle quali gli dei sono simboli: gli dei sono contemporaneamente fuori dell'uomo e in lui. Di fuori l'induista li percepisce come riflessi dei fenomeni della natura, entro se stesso come le forze che reggono i processi vitali del suo corpo, gli impulsi che animano il mondo delle sue emozioni ecc.
Gli dei dell'India antica hanno quindi due aspetti fondamentali: un aspetto demoniaco, di pura energia scatenata, indipendente da esigenze morali, per cui molti di loro vengono chiamati asura, termine che in seguito significherà "essere diabolico", ed un aspetto di pienezza luminosa, per cui essi vengono comunemente denominati deva, dalla radice "div" (illuminare, splendere).



Quelle che seguono sono solamente alcune delle più importanti divinità del periodo.


VISNU - personificazione del sole e divinità non in primo piano, assume grande complessità e importanza nell'induismo, divenendo la divinità somma nelle sette visnuite; è rappresentato come un giovane di colore azzurro scuro con in capo una tiara; ha 4 braccia e tiene con le mani un disco, una conca, una clava, un arco (o un fior di loto o una spada). viene spesso raffigurato nell'aspetto dei suoi numerosi avatara, i più famosi dei quali sono certamente quelli eroici, Krishna e Rama.
SHIVA - una delle massime e più complesse divinità dell'induismo, centrale nelle sette shivaite. ha un duplice aspetto; benevolo e creatore, terribile e distruttore. ha generalmente 1 o 5 teste, 4, 8, 16 o anche solo 2 braccia, 3 occhi; è rivestito con una pelle di tigre, d'antilope nera o d'elefante. regge il tridente, l'accetta e il tamburo, l'arco e la corda; ha una collana di teschi e il corpo avvolto da serpenti. sua caratteristica è la rappresentazione come Shiva danzante.
PARVATI - sposa di Shiva, personifica l'energia del dio; ha molteplici aspeti ai quali corrispondono altrettanti nomi, fra i quali kali e durga. come durga è una bella fanciulla con 12 braccia armate, a cavallo di un leone; come kali ha 4 mani (con una regge la testa del capo dei demoni che ha ucciso), è ornata di spada e ha una collana di teschi.
LAKSHMI - sposa di Visnu, nata dall'oceano di latte, è dea della bellezza e della fortuna; di lei si dice che ha 4 braccia, ma poiché è dea della bellezza viene rappresentata con 2, e ha in mano un fior di loto. spesso è affiancata da 2 elefanti.
BRAHMA - dei 3 dei della trimurti è quello con meno importanza; nacque da un uovo d'oro, che divise in due, formando così il cielo e la terra; ha 4 teste e 4 braccia, siede su una foglia di loto e ha in mano un circolo, simbolo di immortlità.
GANESHA - figlio di Shiva e Parvati, dio della ricchezza e della saggezza, protettore degli artisti e dei mercanti; ha 4 mani, testa di elefante (animale simbolo di saggezza) con una sola zanna; come cintura ha un serpente.
SKANDA O KARTTKEYA - dio della guerra, figlio di Shiva, è un giovane con 4 braccia che regge l'arco e le frecce; spesso cavalca un pavone; talvolta ha 6 teste; può anche venir raffigurato bambino con shiva e parvati.
KAMA - dio dell'amore, figlio di Brahma e Sarasvati, cavalca un pappagallo e ha arco e frecce fiorite.
KUBERA - dio della ricchezza, padrone di tutti i tesori della terra, ha la carnagione chiarissima e corpo deforme, con 3 gambe e 8 denti soltanto. attraversa il cielo su un carro che racchiude un'intera casa.



divinità importanti del periodo vedico

 
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