Nell'India posteriore, attraverso le deità femminili risorge un elemento di quel mondo religioso anche detto delle Grandi Madri.
Il termine sakti è quello che meglio riassume la concezione primordiale di quetste dee, sintesi di energia e di potenza, senza le quali il dio del quale sono spose è un pallido fantasma. Tipica è, presso i culti sakta (che venerano cioé la sakti) la rappresentazione di Shiva-sava, "Shiva-cadavere", pallido, immoto e disteso, sul quale simile a una vampa di fuoco, danza la sua terribile sakti Kali.
La sakti è quindi l'energia del dio e ciò che lo rende conoscibile; questo conduce a concepire la sakti come Sapienza, conoscenza di quella realtà totale che è la sua potenza, la sua forza creatrice. Quest'ultima, detta Maya, è per gli Indiani la medesima illusione che ci fa apparire come reale ed oggettivo un mondo che, invece, è un semplice atto di pensiero. I concetti di Maya, illusione (Vedanta) e Prakrti (Samkhya) - Natura creante priva di intelligenza) perdono presso i sakta quel valore negativo. Mentre nel Vedanta e nel Samkhya ciò che importava era realizzare il distacco fra lo spirito (Atman nel primo, Purusa nel secondo) e il mondo dell'illusione (Maya) o della natura (Prakrti), secondio i sakta la liberazione viene ottenuta proprio mediante ciò che per l'uomo comune è la causa fondamentale del samsara, ossia il peccato.
L'asceta, attraverso gli atti rituali delle 5 "M" (madya=fruimento di bevanda alcoolica; matsya=fruimento di pesce; mudra=fruimento di cereali; mumsa=fruimento di carne; maithuna=fruimento dell'amplesso), talvolta compiuti simbolicamente, effetua la propria congiunzione con la propria sakti interiore. Tali scuole infatti ritengono che l'uomo sia uomo-donna: l'apparizione della donna sul piano materiale come essere distinto dall'uomo è il simbolo dell'incapacità pratica dell'umanità comune a realizzare coscientemente la donna interiore, che è infinità capacità creativa ed è anche, in quanto sakti, la stessa energia che regge, muobe e riassorbe i mondi. I sakta tendono ad effettuare queste esperienze secondo gli insegnamenti dei loro testi liturgici, detti


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