Capitolo 4 - Pastasciutta
Pastasciutta, pastasciutta, pastasciutta!
Quale seduttore non ha, nel proprio repertorio, una pastasciutta indimenticabile? Quale focoso innamorato non si è sognato intrecciato alle membra della sua bella come lo sono i lunghi fili degli spaghetti?
Dopo l'eternità che impiega la pentola con l'acqua a bollire instabile sopra il fornelletto troppo piccolo - nella vita si usa quello che si ha ... - butto giù una dose per due abbastanza abbondante.
"Pastasciutta" dico.
"Pataciutta" corregge implacabile lei.
Apparecchio per due, impacciato per conto mio e per "l'aiuto" che prova a darmi la ragazza.
Non sono abituato ad avere ospiti a sorpresa a pranzo e, meno che mai, ad avere ospiti femminili.
Così viene fuori una tavola un po' composita, con una tovaglia a fiori vivaci, tovaglioli di carta, i piatti, le posate, due bicchieri non uguali (ma possibile che io non abbia due - dico: due! - bicchieri uguali in tutta la casa?), una brocca in cui si sciolgono velocissimi alcuni cubetti di ghiaccio, un poggia-pentole in acciaio arrugginito.
(Che vergogna! giovedì, al mercato, giuro che ne compro uno nuovo! E che compro sei bicchieri!).
La ragazza osserva il suo bicchiere dove è disegnata la testa di un Paperino in splendida forma: forse è un bicchiere da bambino, ma a lei sembra piacere.
La guardo bene e scopro che sono felice che lei sia qui. Dopo guardo la tavola apparecchiata per due: accidenti! molto meglio del mio unico piatto da Lupo Solitario!
La pentola bolle e strabocca: assaggio un filo di pasta dopo averci soffiato sopra. E' ancora un po' crudo, ma mio nonno sosteneva che la pasta è cotta quando si piega e così io metto in tavola: "Ecco, è pronto, Madame!"
Credo che mi ringrazi, con una frase a bassa voce in cui ci sono tante vocali e con un sorriso. Ci sediamo di fronte, abbastanza vicini da toccarci - non sempre per caso - con le ginocchia, viste le dimensioni ridotte del tavolino della cucina.
"Buon appetito!"
Io mangio un paio di forchettate e poi me la guardo destreggiarsi, con molta buona volontà ma con risultati un po' comici, coi lunghi fili degli spaghetti.
"Guarda me!" Arrotolo due forchettate e le mangio.
Mi osserva con attenzione.
Occhi scuri, marroni ma dagli improvvisi riflessi verdi. Occhi piccoli ma che sembrano dilatarsi ogni tanto in espressioni di curiosità, di timore, d'implorazione.
E mi piace il suo collo snello, elegante, su cui pianterei volentieri qualche bacio da avido vampiro.
Riprendo con la pastasciutta, visto che ho fame anch'io, ma per poco.
"Ma chi sei?" le chiedo fermandomi con la forchetta a metà tragitto.
Si ferma anche lei, e per un attimo spero risponda.
Invece le riscivola solo nel piatto quel boccone di pasta che è faticosamente riuscita ad arrotolare sulla posata.
"Sliungau!" commenta addolorata, e ritorna ad ordinare i fili di pastasciutta in più monticelli che separa uno dall'altro con tagli precisi del coltello. Tecnica spaghettifera personalissima e non troppo efficace, a giudicare dai risultati: se la tagliuzza ancora un po' la mia pastasciutta sembrerà un risotto!

Le pagnotte divorate al giardinetto devono avere un po' addolcito la fame della mia inattesa compagna che continua inesorabile, ma senza più affanno, ad attaccare le montagnole di pastasciutta.
Colto da un improvviso pensiero mi alzo per andare a recuperare una bottiglia di vino (un grignolino da supermercato) e faccio per riempirle il bicchiere.
L'avessi mai fatto! Lancia uno strillo e copre il suo bicchiere incrociandoci sopra entrambe le mani.
"E' mica sangue! - protesto - Questo è un vinello che non farà neanche sei gradi!"
Niente da fare: allora mi verso un mezzo bicchiere io. "Alla facciaccia tua e di chi non capisce l'italiano! Sei mussulmana?"
Faccio per bere, ma non bevo: la ragazza mi guarda con un tale disgusto, con una tale riprovazione, con un tale schifo che controllo che nel mio bicchiere non galleggi uno scarafaggio.
Eppure sembra vino normale: ha anche un discreto profumo per i quattro soldi che costa!
Lo sdegno della ragazza è così genuino, così irrefrenabile che mi contagia e mi passa del tutto la voglia di vino.
"Adesso non posso neanche bermi un bicchieruccio di vino perché questa tipetta raccolta per la strada me lo vieta!"
Sbuffo forte mentre la "tipetta", pur restando immusita, ritira le mani dal bicchiere e, a capo più chino, riprende a mangiare la sua pastasciutta. A me viene una voglia improvvisa di prenderla per la collottola come un gatto e metterla fuori dalla porta.
Invece mi rialzo, rimetto la bottiglia di vino a posto, prendo il mio bicchiere e lo vuoto nel lavandino. Lo risciacquo pure perché non restino tracce rossastre sul fondo.
Poi mi riseggo: "Altro che non va?"
La ragazza mi guarda, prima ingrugnita, poi di colpo allunga il braccio e mi dà due buffettini leggeri leggeri sulla guancia. Devo fare una faccia strana perché scoppia a ridere.
Io sospiro e scuoto desolato la testa: che pazienza che ci vuole, che pazienza! Maledette tutte le donne!

Finito il pranzo la ragazza compie finalmente un gesto che provoca la mia approvazione: prende piatti, bicchieri e posate e mette tutto nel lavello. Pare proprio intenzionata a lavarli lei!
Quasi quasi la lascerei fare, poi invece mi alzo e apro un mobiletto dove sono già disposte le mie stoviglie sporche di ieri.
Faccio un largo gesto significativo: "Lavastoviglie!" e commento: "Gran bella cosa il progresso!"
La ragazza osserva e dopo annuisce compiaciuta e convinta: "Offoòòò! Yulin-gay!"
Annuisco compiaciuto a mia volta e batto la mano sul fedele elettrodomestico: "Lavastoviglie!"
Lei si avvicina e ripete il mio gesto: "Yulin-gay!"
Prendo, prima che si rompa l'incantesimo, una pagnotta dal tavolo: "Pane! Pane! Pane!"
Mi sorride e riecheggia: "Pane! Sulaquias! Pane!"
Una meraviglia!
Mi metto la mano sul petto come un peccatore: "Andrea! Andrea!"
Sembra molto difficile e lei si concentra: "Ancea?"
"Andrea! Andrea-andrea-andrea!"
Prende bene fiato e mi guarda dubbiosa: "Anderea?"
Va quasi, sto per chiederle un ultimo sforzo, ma lei mi anticipa e ripete il mio gesto appoggiando le dita sul seno.
"Vancilea!" si presenta. O così capisco.


Salvario
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