Capitolo 5 - Parole
Così la fanciulla ha un nome, per quanto improbabile e bruttino.
Un nome al quale, dopo una fase di sperimentazione dagli esiti non sempre coerenti, pare inparare a rispondere.
Io la chiamo ripetute volte, anche senza nessuno scopo preciso: "Mangiato bene, Vancilea?" oppure "A cosa pensi, Vancilea?".
Lei mi guarda, ovviamente non capisce, e si distrae dopo una breve attesa; sembra però che questo mio gioco di ripetuti richiami dopo una mezz'ora la annoi.
Con delusione osservo che, in risposta, Vancilea il mio nome non lo ripete mai.
Vancilea: che nome strano! Un nome da tribù barbara: Vancilea, figlia di Odoacre...
Potessi trovarle almeno un diminutivo gradevole: "Lea? Ti piace se ti chiamo Lea? O Vancina?".
Mi risponde con uno sbadiglio.
"Ecco! Hai mangiato, bevuto - acqua, per tua scelta! - e, adesso, il pisolo digestivo pomeridiano: bella compagnia che mi sono trovato! La prossima volta mi adotto una tartaruga!".
Per niente offesa Vancilea si stiracchia con una certa compostezza sulle sedie della mia cucina che, devo riconoscerlo, non sono troppo comode e, quindi, appoggia le braccia sul tavolo e la testa sulle braccia.
E' così tenera, così fragile, così incomprensibile!
Mi avvicino un po', ancora un po' e ancora un pochetto.
Provo a posare la mano sul suo avambraccio nudo e subito, in modo non scortese ma inflessibile e con una insospettata energia, Vancilea prende la mia mano e la riposa sul tavolo.
"Uff! Insensibile! Crudele!".
Lei borbotta qualcosa, sei o sette parole incomprensibili e dal tono lamentoso e offeso.
"Pezzo di ghiaccio!" Ribatto, tanto per prendermi almeno la soddisfazione di avere detto l'ultima parola.

Diavolo diavolone! Ho preso i miei appunti delle lezioni e mi sono messo a studiare. Che le piaccia o no, io ho l'abitudine di leggere e studiare a mezza voce e non cambierò certo oggi per causa sua.
Che le piaccia o no: sembra la piaccia e mi guarda attenta, divertita e interessata.
E tocca tutti i miei libri: "Epiotei giel Ciodiqui Ciavieli...".
"Appunti del Codice Civile! E lascia stare che mi perdi il segno! Molli? Vuoi mollare? Tanto non è roba che si mangia!".
Ride e mi tira fuori la lingua. Sono arrabbiato, ma la bacerei.

"Tu sei proprietaria di uno sciame di api. Belle api che ronzano. Api! Ronzano: bzzzz.. zzz".
"Bzzz! Api!" Approva.
"Brava! Api! E sai che fanno quelle schifose? Scappano nel campo del tuo vicino! E sai come sono i vicini: probabilmente il vicino non ha affatto piacere che tu gli pesti il suo campo e, potendo, invece si terrebbe volentieri le tue api, non fosse altro che per farti un dispetto! Puoi andare a riprenderti le api sul suo fondo?".
"Bz, bz, bz?".
"Sì! Api! Ci puoi andare: ma dopo devi pagare al proprietario del fondo i danni che gli arrechi. E, come per le api, vale lo stesso per gli animali mansueti. Tu sei un animale mansueto?". Mi informo preoccupato, pensando che, se è un animale mansueto, possono venire a riprendermela da un momento all'altro. E se non è un animale mansueto?
Mi guarda a sua volta, senza ronzare più.
Alzo le spalle e continuo: "Non si può invece inseguire sul fondo altrui i conigli che passino ad un'altra conigliera ed i pesci. Idem per i tuoi colombi: se fanno il nido sul mio balcone diventano miei e me li mangio ...".
"Bzzz bzzz!".
"Zitta! Me li mangio! A meno che siano piccioni viaggiatori, perché allora non posso più mangiarli ma devo restituirli!".

Mi ha sopportato meno di un'ora, poi si è addormentata con la testa sul tavolo.
E bellissima mentre dorme, coi capelli morbidi che le fanno da cuscino e le coprono il volto.
Trattengo il respiro guardandola: certamente di studiare non se ne parla proprio più, adesso, certamente non ad alta voce. Avessi potuto immaginare ieri cosa mi stava per succedere!
"Vancilea?" chiamo piano. Lei muove piano le labbra e mormora qualcosa. Avvicino l'orecchio e mi pare di cogliere, ma forse è solo una mia impressione una parola: "Panotta!".

Non ha dormito a lungo e, quando si è svegliata, mi ha raggiunto sul terrazzo dove mi sono appartato per paura di disturbarla.
"Ehi! Buon giorno! Almeno potrò raccontare agli amici che hai dormito a casa mia! Chissà che capriole immagineranno che abbiamo fatto...".
Mi ha sorriso, di evidente ottimo umore, ed io ho sorriso a lei: "Hai sentito che tipo di cretinate mi tocca studiare? E pensa che poi il contadino - può succedere - insegue le sue api in pieno diritto e viene impallinato dal vicino spietato e ignorante! Che brutta cosa l'ignoranza!".
L'ultima tirata pare fare ben poco effetto perché Vancilea si limita a curiosare cosa succede in strada: ed infatti le macchine si stanno scansando per lasciare passare un'automobile dei Carabinieri.
"Magari cercano te! - Ipotizzo e poi aggiungo: - Lo sai che a San Vito conosco una ragazza che era quasi fidanzata con un carabiniere?".
Potrei anche raccontarle altro, ma tanto è inutile.
"Sei difficile da gestire." Sospiro e sospira anche lei.
Restiamo muti entrambi per un po', poi è lei che dice qualcosa e mi guarda, capisce che non capisco, alza le spalle e non insiste.
Non possiamo stare così tutto il pomeriggio. Mi viene in mente una frase che ho letto da qualche parte e che diceva che per fare l'amore non è necessario parlare: basta guardarsi negli occhi. Già, ma lei mi scoraggia!
Sospiro di nuovo, anzi sbuffo proprio, e la ragazza mi osserva con un'espressione, chissà perché, mortificata.
"Basta guardarsi negli occhi!" Mi ripeto e la guardo fisso negli occhi. Ci guardiamo finché Vancilea scoppia ridere e, sebbene non ne ho troppa voglia, rido anch'io.
Mi sento una frana.
"Usciamo? Andiamo a farci una passeggiata!" propongo.
Magari ci prendiamo anche un gelato. E magari il freddo del gelato scalderà il suo cuore.


Salvario
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