Capitolo 7 - Pennelli
Con rassegnazione e senza omettere nulla, racconto a Stefano la mia piccola storia e, mentre parlo, viene ad ascoltare incuriosita anche Remė.
"E adesso che te ne fai?", mi chiedono quasi all'unisono dopo avermi lasciato parlare fino alla fine.
Mi stringo le spalle e Stefano abbozza: "Puoi portarla agli oggetti smarriti o abbandonarla davanti ad una chiesa. Qualche buon prete provvederā a lei!"
"Forse ha perso la memoria. - azzarda Remė. - Tu potresti almeno chiedere alla polizia: puō essere che la stanno cercando."
Vancilea si tocca il naso e, attenta, ci esamina tutti: Remė prova a parlarle in francese, ma senza nessuna fortuna.
"Avevo giā provato anch'io col francese.", borbotto.
"Ma a te, qualche parola in una qualsiasi lingua, l'ha detta?"
"Sė, ogni tanto mi parla."
"E in che lingua?"
In che lingua? Lo sapessi!
"Oggetti smarriti!" Ripete Stefano e si alza: va a prendere un pennello da imbianchino pių che da pittore e lo fa girare tra le dita come un giocoliere. Poi si avventa su una tela come i Tre Moschettieri sulle guardie del Cardinale. Come se avesse l'estro dell'artista: dipinge male, perō recita bene!
Sul gradino, al suo posto, si siede Remė.
"Non ne posso pių!", piagnucola.
"Di Fano?"
"Sė! E' un egoista. Pensa di essere un genio e mi tratta male! Io non sono la sua serva!"
Soffre davvero, potrebbe anche piangere.
"Avete litigato. Sei arrabbiata.", cerco di semplificare.
Mi giro e guardo prima Stefano che dipinge e poi Vancilea che si č seduta su uno sgabello e mi guarda sorniona, dondolandosi come una bambina.
"Non sono arrabbiata. Non con lui. Ma un giorno prendo quel poco che ho e me ne vado. In fondo io sono arrivata come lei, - e accenna a Vancilea. - senza sapere che due parole d'italiano. Credevo di trovare un lavoro che poi non c'era. Ho girato per strada ed ho trovato Fano. Sai che mi dicevo? Io non ci casco con quegli italiani tutti cascamorto e bugiardi! E appena ho visto Fano non ho pių capito niente e mi sono innamorata. Credevo davvero fosse un grande pittore, accidenti a me! E io la famosa modella del grande pittore!"
Ho altri pensieri nella testa ma cerco di trovare cosa dire: "Fano č un po' lunatico, ma ti vuole bene: questo lo sai!"
Scuote la testa: "Siamo stati bene all'inizio, ma č durato poco. Oggi io sono stanca di lui e lui č stanco di me. Io non ne posso pių di questa vita!"
Chissā perché Vancilea mi viene vicino e, quasi di forza, si siede tra me e Remė.
Mi riguarda un attimo, e poi posa il mento sulle mani che incrocia sulle ginocchia. Resta un attimo cosė e dice piano una frase abbastanza lunga in cui distinguo solo una parola comprensibile che dovrebbe essere "divano" e, di nuovo "Vancilea".
"Sei sicuro che Vancilea sia il suo nome?" chiede Stefano che ha abbandonato il suo quadro al suo destino dopo avere consumato il poco spirito creativo di cui si sentiva illuminato.
"Non sono sicuro di niente!"
"Vancilea č un nome orribile. - iInsiste Stefano - Andrebbe bene per una marca di marmellate! Marmellata Vancilea alle fragole per i vostri bambini!"
"Non č tanto brutto!" Protesto e guardo, in cerca di una solidarietā, che non arriva Remė.
Remė, invece, osserva Vancilea che sonnecchia felina ad occhi socchiusi: "Deve essere stanca, forse vuole dormire!"
"Devo portarla a dormire?" Chiedo di mala grazia e, di nuovo, stiamo zitti ed ingrugnati tutti e tre.
Alla fine č Remė che esala un sospiroso: "Che estate maledetta! Fa sempre pių caldo!"
"E' l'umiditā di questi giorni: ti appiccica tutto addosso!"
Mentre parlo, involontariamente ma con improvviso interesse, lancio uno sguardo al seno di Remė abbastanza scoperto. Lei se ne accorge ed ha un piccolo moto di fastidio; e se ne accorge anche Vancilea che mi guarda secca e gelosa.
Uff! Le donne!

Stefano scompare nel retrobottega ed io, dopo essere stato solo qualche minuto in silenzio con le due ragazze, vado a cercarlo.
Lo trovo a fatica, sdraiato sotto il lavandino in una strana posizione contorta. Non capisco subito che lo sta riparando, ma penso per un attimo che gli sia preso un colpo o che si stia suicidando.
"Questo maledetto gocciola. Gocciola! Lo sai cosa vuole dire un lavandino che gocciola? Tutta la notte! E non smette!"
"Plop! Plop!" Commento e penso che il mio discorso č tra i pochi che capirebbe anche Vancilea. E, manco a farlo apposta, eccola la mia Vancilea che mi ha seguito (mi controlla?) e che, vedendo Stefano sul pavimento, sobbalza interdetta.
"Plop! Plop!" Le spiego in fretta, temendo mi pensi responsabile di un omicidio.
"Plopop?"
"Plop!" ripeto, mimando con le dita la caduta di una goccia e il suo disguazzamento contro un pavimento.
Sotto il lavandino Stefano impreca e bestemmia con grande fantasia e, malgrado debba essere inintelligibile per la mia ragazza adottiva, credo che il tono le chiarisca fin troppo bene di quali argomenti stia discorrendo.
Stefano riemerge dopo un lungo armeggiare: "Avessi almeno una (beep)issima chiave inglese di (beep)! (Beep)!"
In effetti non comprendo cosa puō avere fatto per tanto tempo sotto un lavandino senza una chiave inglese ma solo con uno straccio e con un cacciavite. In compenso č stravolto, sporco e sudatissimo.
"Non sono nato per questo tipo di lavori!"
"E neanche per la pittura!" Mi viene da aggiungere, ma non lo dico. Invece Remė, che č alle mie spalle, lo dice e Stefano fa un tale balzo verso di lei che la ragazza si scansa con uno strillo e mi finisce in braccio dopo di che io, arretrando, investo Vancilea, sempre tra i piedi.
"Ehi! Remė scherzava!"
Stefano non č un violento ma č un rancoroso, e non dice pių parola per tutto il pomeriggio. Remė parla poco di pių. Vancilea ci guarda preoccupata, ma io rinuncio a provare a spiegarle la situazione.
Commento acido: "Bel pomeriggio, vero? Č l'umiditā ..."
E le chiavi inglesi.


Salvario
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