Certo che speravo che Stefano e Remì mi aiutassero ed invece hanno i loro problemi a cui pensare. Ad ogni modo non penso facciano sul serio: Remì non è una ragazza da colpi di testa.
E Vancilea? Che ragazza è?
Sarebbe il tipo di ragazza che vedrei bene camminare ad occhi bassi prigioniera tra mamma e papà, invece che a vagabondare dietro ad un tipo come me che ha, come biglietto di raccomandazione, solo le briciole che dava ai piccioni.
Certo! Becco Storto e Cambia Le Penne possono garantire sul mio buon cuore, ma è poca cosa perché conosco tante dolcissime vecchie signore che mi squarcerebbero il petto per cavarmi il cuore piuttosto che fare soffrire di fame i loro cagnetti profumati ed incipriati.
Attraversiamo le vie più centrali e, per non perderla tra la folla dei bagnanti, le prendo il braccio. È un braccio sottile, però non è un braccio fragile e quando la ragazza si ferma davanti ad un negozio - un negozio? la bancarella di un ambulante che vende bigiotteria - resiste con indifferenza al piccolo strattone che le do'.
Esamina un attimo e sceglie, tra tanta mercanzia inutile che si potrebbe vendere a peso come metallaccio ad uno sfascia carrozze di periferia, una spilletta a gatto che è proprio graziosa e se la posa un attimo sulla camicia.
"Dodicimila. La vogliamo fare felice questa bella ragazza?" mi chiede il venditore che ha una voce quasi femminile e un corpo basso e nero da minatore.
E io la farei felice Vancilea, ma lei scoppia a ridere e riposa la spilla prima che io decida qualsiasi cosa e si allontana. E io le vado dietro poco convinto e con qualche rimorso.
Ma ci manca ancora che le faccia regali! O forse sì? Forse dovrei? Dodicimila è niente. Si può contrattare e fare dieci...
"Oramai!" Sospiro e, quasi per consolarmi, la ragazza mi si appoggia alla spalla. Provo a passarle un braccio dietro la schiena per tenerla più stretta e lei si allontana subito di quel pochissimo che basta a scoraggiare.
Vancilea si ferma nuovamente dopo pochi metri davanti a una vetrina, ma questa è la vetrina di una boutique di classe ed i prezzi zompano alti sopra il mezzo milione: sono un povero studente, io! Posso offrire a una ragazza da mangiare, magari anche una spilla da dodicimila, ma non posso vestirla come la moglie di un industriale per una serata mondana!
Lo so che sarebbe bellissima con un vestito nero senza maniche e tante simpatiche trasparenze, ma il mio tenore di vita e piuttosto di bassa economia.
La ragazza si appiccica alla vetrina, poi alla successiva - sempre lo stesso negozio - ed io mi indispettisco e faccio per andarmene: ovviamente mi raggiunge velocissima e mi guarda in una maniera così bislacca che anche l'accenno di malumore mi sbolle subito.
"Sei stramba!" le dico e vorrei darle una carezza alla spalla ma lei ha uno scarto istintivo, quasi di repulsione, al sollevarsi della mia mano che mi blocca il movimento.
"Allora? Neanche una carezza? Bella tipa che sei!"
Inutile insistere e, se voglio arrabbiarmi, potrei prendermela con una signora truccata pesantemente che mi sbatte con tracotanza una sacca piena di scatolame spigoloso contro le gambe. E, invece, adesso di litigare non ho voglia - pile scariche - e mi limito ad un ringhio controllato ed a denti stretti.
Seduto scomposto su una panchina, ho notato un mio compagno di università: non siamo amici ed io gli faccio un cenno di saluto per pura cortesia. Lui ha uno sguardo terribilmente vuoto ed annoiato che resta tale anche quando mi ha visto e mi ha salutato fiaccamente a sua volta.
Poi nota Vancilea ed i suoi occhi si vivacizzano progressivamente e si gonfiano un poco mettendola a fuoco; anche il suo corpo che prima aveva un apparenza disossata si è ricompattato ed ho temuto che si alzasse e mi raggiungesse. Fortunatamente Vancilea gli ha lanciato un'occhiata appena curiosa, tanto per capire chi avevo salutato, e subito ha trovato altrove qualcosa di più interessante: la pubblicità di una marca di calze. Così il mio compagno non è stato incoraggiato: credo che si chiami Bufalo di cognome, o "Bufalo" è solo un soprannome. Forse Buffalo, oppure mi confondo con un altro del suo gruppo.
Il sole tramonta dietro l'Appennino e subito si alza un vento minimo che nulla toglie al caldo della giornata. Come se Padre Eterno ci alitasse addosso dopo un pasto pesante.
Torniamo verso casa. Casa mia. Casa nostra.
"Questo caldo ci ammazzerà questa notte."
Vancilea risponde qualcosa di sempre incomprensibile ed io mi metto a fischiettare. Smetto solo perché, salendo le scale con la mia Madonna fino al mio Paradiso (se non è il Golgota), il fiato mi muore di brutto.
Beffarda Vancilea comincia a fischiare lei il mio motivetto, ma non ha più fiato di me e, benché le lasci il mancorrente, le ultime rampe non rifiuta la leggera pressione alla schiena con cui la aiuto a salire.
Apro la porta e lascio entrare per prima Vancilea. Lei va in cucina, apre il frigorifero, si versa un bicchiere di latte freddo e se lo sorseggia. Mi diverte che fa molto spesso azioni come questa controllandomi con la coda dell'occhio per paura che, per qualche motivo che lei non sa, io mi arrabbi.
Dovrei arrabbiarmi?
Sorrido e penso che la nostra massima incomprensione è stata quella del famigerato bicchiere di vino.