Capitolo 11 - Mare e sole
Vancilea nuota con una bracciata agile e leggera che deve essere stata curata e perfezionata in qualche piscina
con ore ed ore di vasche. Andiamo verso il largo, ben oltre la boa bianca e rossa di segnalazione alla quale, quando sono solo, sempre mi fermo.
Andare al largo non è un problema - spero solo che nessuno rubi i nostri quattro miseri stracci rimasti incustoditi a riva!
- ma lei procede ad una velocità di crociera superiore alla mia e, per non farmi aspettare ed anzi precederla, devo di
continuo forzare a strappi il mio ritmo: maledetta! Vuole farmi morire? Io sono un uomo di terra ferma!
Mi mostra, abbastanza ostentatamente e con irritante eleganza, tutto un campionario di stili diversi: libero, rana, dorso e
delfino; io fingo indifferenza e rispondo alternando lo stile tonno al mio migliore stile merluzzo. In un momento di
indecisione mi metto a fare il morto: nuota e nuota, comincio ad essere affaticato e mi si è indolenzito il collo, ma mi lascerei
affogare prima di sembrarle in difficoltà.
Stupido orgoglio maschile? Certamente: stupidissimo orgoglio!
Finalmente la femmina si arresta e, dopo un paio di giri su se stessa (Che non sappia più dov'è la terra? Che abbia scorto uno
squalo?), la vedo, con incelabile piacere, puntare verso la boa quadrata momentaneamente deserta ed ormeggiarsi ad essa.
La raggiungo e salgo sulla boa con un colpo di reni deciso mentre Vancilea mi guarda, esita e prova a salire anche lei, ma non ha
sufficiente pratica da coordinarsi e braccia abbastanza forti e, se non la afferrassi, non ce la farebbe.
"Flisciis!"
"E già: riflisciavi giù!"
Ansiamo tutti e due: ci siamo fatti proprio una bella nuotata e forse anche Vancilea ha voluto strafare. Adesso si adagia a
rifiatare, ad abbronzarsi ed a lasciarsi contemplare.
Io me la guardo tutta, passo una mano sulla sua fronte ad allontanarne i capelli, e controllo l'alzarsi ed abbassarsi
affrettato dei seni nella respirazione.
Sul suo braccio si è appiccicata una lunga alga che tolgo pizzicandola tra due dita: la ragazza apre diffidente gli occhioni per controllare.
"Tutto a posto!" La rassicuro, mostrando il verde filo vegetale.
La nave all'orizzonte è ancora lì, spostatasi di pochissimo da quando l'abbiamo vista la prima volta.
Mi lascio andare ai pensieri e alle fantasie più piacevoli: il sole riflesso dalle onde mi abbacina e mi incanta nel
dondolio della boa. Penso a Vancilea e, paradossalmente, mi dimentico di averla vicina e così, quando lei si risolleva
bruscamente dopo cinque di minuti, sono quasi sorpreso di scoprirmela vicina.
"Oh! Ciao!"
Si spruzza annoiata l'acqua del mare sulle spalle e sulle gambe, poi si distrae anche lei.
Penso che ormai siamo stati insieme un giorno intero - notte compresa - e di lei conosco e capisco sempre meno.
Mi stiro e protesto, ma in tono non particolarmente lamentoso: "Ho passato una nottataccia d'inferno. Ho dormito poco su
quella maledetta sdraio: ho la schiena a pezzi! E tu mi hai fatto nuotare fino a scardinarla ancora di più!"
"Andrea?"
Appena smetto di parlare Vancilea chiama il mio nome con naturalezza, senza accenti o toni sbagliati. Lo dice così bene che, non riesco ad accettare subito che l'abbia detto davvero.
La guardo interdetto e lei allunga il collo e mi bacia sulle labbra o, per essere più esatti, all'angolo destro della bocca.
"Urca!" Non faccio in tempo a dire altro perché lei, subito, si lascia scivolare dalla boa in acqua.
"Aspetta! Già finito? Uh?"
Già finito. La inseguo a nuoto verso la riva e, spruzzandoci un poco, approdiamo insieme.
Venere esce dalle acque e Vulcano, perplesso e incavolato, pure.
Chissà se un bacio mi dà dei diritti?
Come se niente fosse successo, Vancilea si pettina con eccessiva cura i capelli e dopo,
mentre sdraiato sulla mia stuoia mi avvito e striscio fino ad aderire per qualche centimetro al suo fianco ancora freddo di mare, si mette a pettinare anche me come fossi una bambola.
Probabilmente, quando ero piccolino, la mia mamma mi pettinava prima di mandarmi a letto: infatti, quando mi pettina qualcuno,
mi viene subito sonno. Una sonnolenza a cui resisto ma che non cancello, con la sorta di gattesca soddisfazione che provano i
mici quando gli si accarezza il pelo.
Troppo presto Vancilea decide che sono abbastanza pettinato - peccato, anche se mi tirava i capelli - e si scosta di quel poco
che basta a interrompere il piccolo contatto fisico e a permetterle di riporre il pettine nel taschino della camicia.
Prendiamo ancora il sole e Vancilea si gira offrendo al sole e a me la schiena abbronzata che il costume lascia scoperta.
Schiena nuda e sgambatura generosa: mi piace proprio questo suo costume!
Chiudo gli occhi, rifletto un attimo e mi maledico per essermi votato alla causa del "Io non uso creme abbronzanti, proteggenti
e porcherie simili! Io il sole lo prendo naturale!", di cui anche mio padre è sempre stato un ferreo sostenitore: avessi adesso
un tubetto di qualsiasi sostanza - fosse anche dentifricio, concentrato di pomodoro, mastice o lucido da scarpe - da poterle
spalmare addosso, spacciandolo per crema su quella sua splendida pelle!
Quanto lo spalmerei volentieri!
Il sole sale sempre più alto e mi prende il caldo: mi ritufferei in acqua, ma mi limito a fare quattro passi sulla battigia.
Cammino un po' da solo, poi Vancilea si accorge che non le sono più accanto e viene a raggiungermi.
E' un piacere vederla camminare, l'armonia dei suoi movimenti ancora più scoperta nel costume aderente.
Andiamo fino al piccolo molo di pietre che protegge in parte la spiaggia dai marosi invernali poi, senza fretta, torniamo alle
stuoie. Provo di nuovo, come tante volte, a passarle un braccio lungo la vita, ma lei scarta attenta di quel poco che basta a
sfuggirmi. Se insistessi di più credo che alla fine si rassegnerebbe, che si lascerebbe tenere un po' stretta, ma non
voglio forzarla e sentirmi sgradito.
Tra la ghiaia un frammento di conchiglia: Vancilea lo vede, lo raccoglie, lo pulisce con le dita dalla sabbia, lo guarda con
attenzione e poi lo lascia ricadere.
Salvario
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