Stefano gioca a scacchi malissimo, ma con molta presunzione.
Conserva una scacchiera coi pezzi in legno sempre pronta su un tavolino - lo stesso dove tiene tempere e pennelli perché sostiene che arte e genio hanno le due manifestazioni più pure nella pittura e negli scacchi. In terza posizione, contro voglia perché non sa suonare nessuno strumento ed è stonato quanto me, mette la musica.
Giocherello con la Regina bianca, simbolo della tracotanza femminile, e Stefano - che non gioca mai con me perché sa che lo vinco e che non gioca neanche più con Remì perché a capito che lei lo lascia vincere solo per non litigare - mi raggiunge per parlare un po'. Ripete le stesse idee di prima, poi si distrae e cambia registro:
"Andiamo a mangiare una pizza questa sera? Tutti e quattro!"
L'idea di un'altra serata solo con Vancilea adesso m'imbarazza e mi aggrappo subito all'ancora di salvezza con una sola condizione: "Certo! Ognuno paga per la sua donna?"
"Va bene! Di nuovo alla Vesuviana?"
Domanda retorica: la Vesuviana è, in Liguria, la sola pizzeria decente e con forno a legna dove con quindicimila a cranio si riesce ad avere una pizza decente, una birra media ed un gelato finale.
Vancilea si siede davanti a me e, con falsa indifferenza, mette a posto i pezzi sulla scacchiera. Non faccio molto caso ai suoi gesti se non quando noto che tutto è pronto per una partita; infatti la ragazza, che si è presa i pezzi bianchi, esegue la prima mossa spingendo di due caselle il pedone di fronte alla regina.
Può un uomo declinare una sfida che gli venga da mano femminile? Certamente no! E così perdo vergognosamente in una ventina di minuti, senza per altro avere coscienza di avere commesso errori troppo grossolani. Spietata, Vancilea ridispone i pezzi scegliendosi questa volta quelli neri: io apro bene e quasi spero di potere chiudere la giornata con una vittoria a testa, ma ancora Vancilea mi dimostra con semplicità di giocare meglio di me, e mi bagna di nuovo il naso.
Rovescio il mio Re e vedo il sorriso ironico di Remì che mi strizza l'occhietto. Maledette donne! Tutte complici quando si tratta di far soffrire un povero uomo!
"Vuoi giocare tu? Ti lascio il posto!"
Remì ride: "No! Grazie, non ..."
Ma io mi sono già alzato e le lascio il campo e Vancilea: "Tutta tua!"
Troppo buona Remì: si siede e gioca.
Non ho voglia di stare a guardare: vado alla porta e guardo fuori. Mi scoccia perdere a scacchi. Perdere con una donna mi scoccia due volte. Perdere con Vancilea (che sia russa?) mi scoccia tre. Insomma, mi sono rovinato il sangue!
Mi ci vogliono cinque minuti per fare a me stesso un ghigno di compatimento e riuscire ad ammettere: "E va bene! Va bene! Ho perso due partite!"
La vera umiliazione è avere capito che, giocassi cento volte con Vancilea, perderei cento volte. O almeno novantanove.
"E va bene! Chi perde paga!"
Esco in strada e trovo quasi subito il posto che cerco: per fortuna c'è anche la bancarella di bigiotteria. Scavo senza trovare, finché il venditore mi viene in aiuto con un sorrisetto furbo: "Cercavi questa?"
Guardo sorpreso la spilla a gatto e la prendo dalle sue mani.
L'uomo ridacchia: "L'ho tenuta da parte perché ero sicuro che saresti tornato a comprarla!"
"Davvero?"
"Come no? Io leggo negli occhi di tutti le intenzioni che hanno; e riconosco quelli che comprano e quelli che non comprano!"
"E quelli come me!"
"Certo! Quelli che ritornano!"
Tratto sul prezzo senza convinzione e, con mia sorpresa, da dodici mi fa diecimila.
"Grazie! Arrivederci!"
Torno da Stefano che mi guarda male: "Temevo ce l'avessi abbandonata!"
Vancilea invece mi sorride, felice di rivedermi.
"Ha sempre vinto?" chiedo a Remì che annuisce imbronciata.
Bene! Porgo il pacchetto a Vancilea: "Alla vincitrice!"