Capitolo 15
Vancilea ha accettato ed aperto il pacchetto dopo una lunga esitazione e con molta timidezza: sembrava così smarrita che ho pensato, anche se non ne aveva motivo, che potesse mettersi a piangere.
Stefano guarda con così evidente commiserazione che mi sento in dovere di giustificarmi: "E' un regalino da poco, accidenti a tutti! Sembra che ne facciate un dramma!"
Per fortuna Vancilea ora sorride intenerita alla spilla che tiene in mano quasi in punta di dita, se mi passate l'espressione.
Curiosa e decisa, Remì se ne impossessa e la guarda: "Carina!"
La gira tra le dita ed esclama esultante: "C'è scritto Betty!"
"E cioè?" Chiedo diffidente e umiliato della mia ignoranza.
"Sarà la prima proprietaria: quella a cui è stata rubata!" Scherza Stefano, ma con scarsa fortuna.
Remì gli molla un'occhiata parecchio fredda: "Betty è una stilista di moda. E fa anche gioielli!"
"Non penso che sia un gioiello firmato!" Obietto pensando che, per pochi biglietti da mille lire, più di un po' di latta non si può avere.
"Un gatto!" Osserva Stefano, ed io mi aspetto che aggiunga qualcosa - che so: "Che bello!", "Che brutto!" - invece dice solo quello: "Un gatto!"
Remì finalmente si ricorda che la spilla è per Vancilea e fa per appuntargliela. E, appuntandogliela, la punge: "Iuk! Sincione!"
"Stupida! Ti ho punta apposta!"
Penso con rimpianto che avrei dovuto appuntarla io quella spilletta. Vancilea guarda il gatto, pare soddisfatta, e mi dice grazie con lo sguardo limpido dei suoi occhi di gazzella.
Mi fa piacere, però adesso mi sento fuori posto.
Ritorno a guardare l'ultimo quadro di Stefano, poi mi riavvicino alla scacchiera dove i pezzi sono rimasti in disordine e mi allontano subito temendo che Vancilea, per distorta gratitudine, voglia giocare un'altra partita.
Mi asciugo il sudore dalla fonte: ma per quanti giorni farà ancora così caldo?
Stefano mi chiama e poi chiama Remì. Lo trovo che dispone sul tavolo, liberato parzialmente da un innumerevole schiera di oggetti inutili e senza scopo, un grande libro che scopro essere un Atlante. Mi accenna Vancilea: "Portamela qui!".
Non capisco, ma mi avvicino a Vancilea, la chiamo e le faccio capire, un po' preoccupato, di seguirmi.
Vancilea mi mostra la sua spilla a gatto, sorride di nuovo e mi bacia la spalla attraverso la manica. Alla fine mi segue.
Ora sul tavolo è distesa una mappa dell'Europa vecchia di qualche anno, tanto che la Germania è divisa ancora in due - forse non era una cattiva idea - mentre la Cecoslovacchia e la Jugoslavia sono ancora un pezzo solo.
Guardo Stefano interrogativamente che mi rassicura con un cenno sicuro di comando. Stefano prende la mano destra di Remì, la richiude facendole tenere l'indice dritto e la punta sulla Francia meridionale.
"Remi è nata a Marsiglia!"
"Veramente sono di Gardanne." Corregge Remì, ma a voce così fioca che quasi non la si sente. Vancilea osserva, ma nulla indica se stia capendo.
"Andrea è di Torino!" Ed io, che sono intelligente, metto subito un dito ai piedi delle Alpi, mentre Vancilea mi controlla apparentemente più interessata al mio dito che alla mia città.
Stefano muove la propria mano sul Friuli: "Fano è di Cordovado."
Lo guardiamo un po' stupiti, sia Remì che io, e lui si spiega con tono improvvisamente lamentoso: "Lo so che pensate tutti che io sia toscano, ma sono nato in Friuli! Però i miei sono toscani!"
Malgrado la rivelazione a sorpresa restiamo con le nostre tre dita puntate come spade sull'Europa e, tutti insieme guardiamo Vancilea che arretra un buon passo ed arrossisce.
"E se non è europea?" Sussurra piano Remì.
Ma Vancilea si decide e punta un punto della piantina: "Sumiciafsh!"
"E' svedese!" Fa trionfante Stefano, quasi scontrandosi col mio cranio nell'istintivo movimento di abbassarsi per avvicinarsi al punto indicato.
"No! Norvegese!" Correggo, anche se il punto indicato è proprio al confine, ma una piccola correzione di puntamento di Vancilea mi conferma che indica la Norvegia, in una zona dove non sono segnate città ma solo un fiume, il Klar.
Stefano è soddisfattissimo del risultato, anche se, a volere essere fiscali, non è che dica niente di sicuro.
"Viva la Norvegia!" Esclamo abbastanza pimpante e Vancilea, convinta evidentemente di avere fatto qualcosa di giusto, mi viene ridendo quasi tra le braccia.
"Parlano norvegese in Norvegia?"
Guardo perplesso Remì: se Vancilea capisce solo il norvegese dove lo trovo qualcuno che parli norvegese? In una scuola di lingue? E quanto mi costa?
Studio ancora la piantina, cercando qualche geniale indicazione che non trovo. Giro pagina e leggo la popolazione della Norvegia - circa quattro milioni di anime (dieci anni fa) - e la sua superficie.
Religione protestante, moneta è la corona norvegese, la lingua - maledizione! - il norvegese.
Stefano si avvicina e gli leggo: "Importano alimentari, carbone e petrolio. Esportano metalli, carta, pesce fresco e pellicce."
Esportano pellicce e se non davo a Vancilea la mia vecchia camicia non aveva un ricambio neanche per i suoi vestiti!

Stefano ha forse trovato un acquirente, un tipo annoiato che guarda i quadri che rappresentano Remì e poi Remì stessa e si sofferma anche su certe tele che, fossi Stefano, avrei già da tempo lanciato nelle onde del mare. Ma il cliente pare convinto, tratta sul prezzo, e alla fine dice che passerà domani a pagare ed a prendere il quadro scelto.
Tipo strano: avrà una quarantina d'anni, pochi capelli, molto alto ma ingobbito e mi ricorda un fenicottero.
Indossa pantaloni troppo corti per le sue lunghe gambe che lasciano scoperte le caviglie sorprendentemente pelose. Eppure, nell'insieme, ha una sua eleganza di portamento, un certo stile naturale. Qualità che a Stefano manca in maniera assoluta.
Il fenicottero esce e Stefano, zelantissimo, mette subito un grosso cartello "Venduto" sotto un ritratto di Remì dalle tinte così sbagliate che la ragazza pare malata d'itterizia e, al tempo stesso, coperta di ustioni.


Salvario
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