Capitolo 18 - Notti di mare
Stefano, Remì e Vancilea guardano il mare, un mare che poche altre notti ho visto lucido e nero come adesso. Le stelle e la luminosità di mille riflessi sulle onde ci permettono di vedere chiaramente, e brillano di una luce umida anche gli occhi di Vancilea che, all'improvviso, mi cercano e mi chiamano smarriti.
Mi siedo accanto a lei su una panchina di pietra e la ragazza mi appoggia con fiducia la testa leggera e morbida di capelli sulla spalla. Un movimento che mi ricorda le fusa domestiche di una gatta sazia e soddisfatta ma senza affetto.
Stefano ridacchia ricordandomi, abbastanza fastidiosamente, la sua presenza: "Vancilea! Sai chi potrebbe avere un nome simile? Qualche personaggio dei fumetti: Braccio di Ferro e Vancilea! Asterix e Vancilea!"
Stavo per accarezzare la ragazza e invece riabbasso la mano che mi è diventata improvvisamente pesante ed estranea: "Domani porto Vancilea dai vigili e la lascio a loro. Non conosco nulla di lei, forse ha bisogno di aiuto ed io non la capisco!"
Stefano sospira forte, ma è Remì che mi risponde: "È inevitabile che finisse così: non puoi fare diversamente, altrimenti finisce che magari ti metti nei guai!"
Ecco! È questo che non riesco ad accettare: che per scoprire qualcosa di Vancilea devo perderla!
Mi accorgo che la luminosità di questa notte è proprio tutta nelle stelle: della luna non c'è traccia in questo cielo troppo borghesemente sereno.
Mi sono rovinato la serata da solo con i miei pensieri e Vancilea, proprio ora che vorrei sentirla ancora e con forza contro di me, si alza e si avvicina al mare facendo molta attenzione nel posare i piedi sugli scogli.
Io la seguo con gli occhi leggermente preoccupato: purché non scivoli! Io, quando cammino sugli scogli, ho sempre paura ma, adesso, ho paura per lei.
Un pensiero: alzarmi e prendere la sua mano con la mia. Camminare insieme per tutta questa notte senza lasciarci.
Remì mi posa un braccio sulla schiena facendomi sobbalzare: "Dai! Non fare quella faccia! Mica te la macellano!"
Vancilea, a passi brevi, è tornata verso di noi e sorride: sorride a tutto in questa sera. Tanto più mi sento stanco e sconfitto, tanto lei mi sembra viva e felice questa sera.
"Piza!" Dice, e il suo volto viene vicinissimo al mio come a chiedere un'approvazione dai miei occhi e dalle mie labbra.
"Pizza." Correggo con la voce un po' strozzata.
Vancilea si concentra attenta: "Piza!" "Pizza! Pizzzza!"
Adesso pare offesa e non ripete più. "Gelato!" Prova ad imbeccarla Remì, ma Vancilea ha rinunciato e non vuole provare ad imparare altro. O non capisce. O pensa che noi non vogliamo capirla.
Resta in piedi davanti a noi, ci gira le spalle e guarda il mare. Il contorno del suo corpo si disegna con linee pulite e continue, come se a disegnarlo fosse stata la mano veloce di un disegnatore di fumetti.
Senza un motivo, ma con buona mira, Stefano le tira un sassolino piccolo ma veloce contro il sedere. La ragazza fa uno strilletto offeso e tronco, si gira e ci guarda tutti e tre incerta e arrabbiata.
Aspetta invano da uno di noi un gesto di scuse o di spiegazione e poi torna a sedersi sulla panchina accanto a me, ma adesso non vicina.
E' una serata stupida, proprio stupida.
"Domani al porto fanno i fuochi." Prova Remì quando il silenzio comincia a diventare fastidioso. Esita e poi ci spiega che domani è la festa della Madonna dei Pescatori e la sua statua viene portata in processione lungo tutti i moli.
Non la ascolto, ma penso che forse potrei chiederla anch'io una grazia alla Madonna dei Pescatori: "Dammi questa ragazza ed io ti accendo una candela tutte le estati che vengo qui in vacanza!"
Guardo un po' dubbioso il cielo indifferente e penso che queste grazie, probabilmente, le Madonne non le fanno.
Ma chi devo evocare allora, Satana e Belzebù? A chi posso chiedere qualche amorino nudo che dardeggi la mia ospite misteriosa?
Sorrido di me stesso con compatimento: so che mi aspetta un'altra notte solitaria e scomoda sulla mia sdraio.
Domani perderò Vancilea e riconquisterò il mio letto: il mio cuore si spezzerà in due, ma la mia schiena scrocchierà di gioia!

"Si rannuvola."
Guardo ancora una volta il cielo, ma a me sembra sempre sereno e di una limpidezza quasi eccessiva. Soltanto all'orizzonte si intuisce una foschia potenziale che potrebbe anche essere dovuta all'afa. La notte ha abbassato la temperatura di qualche grado, ma l'umidità resta alta ed io la soffro e sogno una doccia fredda.
Lentamente torniamo verso casa.
Non ho voglia di percorrere una strada più lunga per accompagnare Stefano e Remì e loro non vogliono certo fare un tragitto inutile per me, così ci salutiamo dove le nostre vie si separano.
Vancilea protesta e capiamo, dopo un minuto di gesticolazioni, che vorrebbe restituire il vestito a Remì.
Remì scuote il capo: "A me è troppo stretto. Se vuole tenerselo se lo tenga, altrimenti vediamo domani."
Vancilea insiste o almeno crediamo che insista, poi si calma e ringrazia Remì baciandola sulla guancia.
Remì ride e ci lasciamo di buon umore.
Per strada Vancilea prova a dirmi qualcosa, ma io proprio non riesco a capirla. Sono stanchissimo e non riesco a spremermi l'intuito necessario.
Allargo sconsolato le braccia e Vancilea mi guarda come arrabbiata fin quando, colti da un'improvvisa e comune pazzia, facciamo di corsa la strada e le scale fino al mio pianerottolo.
Vinco senza problemi pure avendo lasciato la precedenza a Vancilea fino al terzo piano, ma agli ultimi gradini mi arriva una fitta alla milza che quasi mi inchioda.
Mi riprendo mentre sento la ragazza protestare ridendo a mezze frasi ancora parecchio più sotto. Non apro la porta finché non mi raggiunge, ansante e sudata.
"Hai cominciato tu a correre!" Osservo e le asciugo il sudore dalla fronte.
La lancetta corta dell'orologio della cucina è oltre le due: lo sapesse mia zia mi denuncerebbe alla buoncostume. Lascio il bagno a Vancilea e poi mi faccio una doccia gigante. Forse domani i vicini protesteranno perché faccio correre acqua a quest'ora, ma ne ho troppo bisogno.
E infine a letto, solo, sulla mia orribile e crudele branda.


Salvario
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