Capitolo 20 - Addio!
Le strade delle cittadine di mare perdono un po' il loro caratteristico odore di salsedine dopo un temporale, ma questa pioggia è solo un intermezzo breve e provvisorio.
Un intermezzo spiacevole, secondo me.
Cerco di non guardare Vancilea che mi cammina accanto, ma intuisco la sua tristezza arrabbiata dai suoi passi indifferenti alla gente e ai negozi e, a momenti, strascicati più di quanto le ciabatte da mare giustificherebbero.
Attraversando la strada si aggancia con la sacca al cofano alto di un fuoristrada parcheggiato. Forse si graffia anche, ma non si ferma.
Sento la stessa nausea soffocata di quando mi va male un esame all'università: il mio stomaco è pesante come una massa estranea che qualcuno mi abbia cacciato a forza dentro nel ventre.
Non so bene cosa voglio dirle, ma provo lo stesso a parlare: "Se capisci un po' della mia lingua, sappi che mi dispiace lasciarti. Forse, fossimo riusciti a capirci un poco e se tu avessi parlato un po' di qualche lingua comprensibile, sarebbe stato più facile. Ma ora come possiamo stare insieme? Io, come faccio se qualcuno mi chiede chi sei e perché stai con me?"
Una coppia anziana che ci cammina accanto ci studia curiosa ed io mi azzittisco; però i minuti sono pochi ed io devo provare a spiegarmi. La caserma dei vigili è verso l'interno, oltre la ferrovia e non troppo lontana.
Riprendo a parlare, anche se so che parlo solo per me stesso: "In fondo potevi capitare molto peggio che con me. Ti ho trattata bene, ti ho dato da mangiare, ti ho lasciato il mio letto! Sei stata abbastanza fortunata. A meno che io proprio non abbia capito niente di quello che volevi!"
Finalmente la guardo, in sordina, e la scopro più spaurita e piccola di quando l'ho incontrata la prima volta. Indifesa e ancora più sconosciuta di allora.
"Non ho neanche più curato i miei colombastri!" Penso senza un motivo, e mi dispiace anche per loro, povere bestiole. Mi viene un tic alla mandibola, quasi un impulso a ridere contro voglia.
Piombo in una pozzanghera profonda senza vederla e quasi ci lascio dentro le mie ciabatte da mare. Ad esclusione di questa pozza la strada è ormai asciugata completamente.
"Ecco! Non mi merito altro!"
"Cia pù!" Commenta svogliatamente ironica la ragazza. Incomprensibile. Forse mi fa il verso.
Ma ormai ci siamo. Sulla soglia di una palazzina moderna e troppo regolare, c'è un vigile in uniforme che sbadiglia e si gratta i capelli sopra l'orecchio.
Prendo aria con un respiro profondo e vado avanti. Vancilea invece si ferma e s'impunta come una mula.
Io mi fermo interdetto quattro passi più avanti e mi giro verso di lei: "E adesso? Non vieni?"
Guardo il vigile che mi osserva a sua volta incuriosito e si gratta ancora la testa. Torno a guardare Vancilea e scopro che mi ha girato le spalle e se ne sta andando.
Non la seguo, sento solo su di me gli occhi del vigile che mi squadra sempre interessato.
Scopro sul muro una bacheca e vado a guardarla. Ci vuole quasi un minuto prima che riesca a leggere veramente qualcosa. "... per la raccolta dei rifiuti solidi, i cittadini devono avere cura di provvedere personalmente ...".
Mi giro di scatto: non vedo più ne' il vigile ne' Vancilea.
Respiro di nuovo, perché mi sono dimenticando di dare aria ai polmoni e mi sembra che sul petto mi pesi una pietra.
"Sono un idiota!" Concludo ed alzo le spalle.
Non provo niente: sono una scatola vuota. Una volta che mia sorella aveva litigato e si era lasciata con un ragazzo e ne aveva sofferto tantissimo mi aveva confidato: "Mi sento come un frigorifero!". Io avevo riso, ma adesso capisco benissimo come si sentiva.

Ritorno verso il lungomare e mi siedo su una panchina. Quasi subito fa capolino il sole. Sono impaziente di mettere a posto i miei pensieri, ma non riesco che a ripensare quanto ho già detto a Vancilea: "Mi dispiace!".
Ed a quello che ho detto a me stesso: "Sono un idiota!"
Penso che può capitarmi di incontrarla ancora da un momento all'altro e che, probabilmente, la ragazza farà finta di non vedermi ed io farò finta di non vedere lei.
Non abbiamo più niente da dirci: "Fine della storia! Si cambia!"
Questo pomeriggio mi chiudo in casa e studio. O, se riesco, dormo.
Mi chiedo che effetto mi farà dormire nelle stesse lenzuola ma, soprattutto, penso che sarà un piacere sentirmi di nuovo nel mio letto.
Ripenso a Vancilea nuda che si nasconde e si copre stringendo lo scudo morbido del cuscino sul seno.
Soffio tra le labbra finché ne esce una specie di fischio lugubre: non sono mai stato bravo a fischiare e non voglio fischiare. Eppure riprovo, e viene un sibilo ancora più lamentoso. Una ragazza che passa mi osserva e, quando la guardo a mia volta, non abbassa gli occhi.
Carina, ancora pallida come chi ha da poco cominciato le vacanze, un po' scialba ma d'aspetto docile e fedele. Ha di fianco due signori anziani che potrebbero essere i suoi nonni e forse i suoi occhi sono stati chiamati dal mio fischio che probabilmente pensa diretto a lei.
La lascio allontanarsi e, appena persa, subito mi dispiace di non averla seguita.
"Imbranato!"
Penso insieme due pensieri contrastanti. Il primo dice: "E bravo! E' la seconda in oggi che ti lasci scappare!". Il secondo ribatte: "Ma come? Ti sei rovinato il fegato per farne fuori una e già ne vuoi agganciare una seconda!"
Mi rialzo: "Viva la Norvegia!".
Faccio un giro per negozi a comprare qualcosa. Compro anche il pane, ma non vado dai miei colombi e torno dritto a casa.
Per strada mi confesso che non sono andato dai miei colombi per paura di ritrovare Vancilea ad aspettarmi sulla panchina.
Faccio le scale pensando: "Un uomo solo al comando!"
Un uomo proprio solo, ma come un cane, non come Coppi!
"Un uomo solo. Un uovo sodo. Un uovo solo oggi ed una gallina accompagnata domani!"
Delirio.
Arrivo sul mio pianerottolo e c'è qualcosa per terra, ammucchiata in un angolo. Qualcosa che si muove e mi guarda con due occhioni gonfi che devono avere pianto tante lacrime da gonfiare un fiume.


Salvario
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