Capitolo 21 - Destino
Mi è successo poche volte nella mia vita - e penso non sia successo solo a me - di trovarmi ad agire in situazioni nelle quali tutto pareva già deciso dal Destino (con la D maiuscola) e, qualunque cosa io facessi e in qualunque modo mi comportassi, nulla poteva cambiare.
La negazione del libero arbitrio.
Trovandomi la Vancilea sul pianerottolo, ho la precisa sensazione di essere in una di queste situazioni immutabili ed io, che sono un pacifico, non mi spezzo i reni per lottare contro l'Angelo del Signore.
Tanto vince Lui.
E anche se sono sorpreso, irritato, scontento, preoccupato, proprio dal profondo del mio petto, sento una vocetta che mi canta: "Evviva! E' tornata!"
Apro la porta di casa - che, questa volta, per qualche ragione magica non cigola - e la lascio spalancata.
Non mi curo della ragazza più di tanto e vado a bere un bicchiere d'acqua fredda dal frigorifero. Acqua che mi finisce su un dente mal curato (un otturazione provvisoria che non mi sono mai preoccupato di rendere definitiva) che, subito, mi rimprovera con una fitta breve e mi lascia un malessere doloroso alla mascella.
Aspetto soffiando a bocca socchiusa che il dolore si disperda e torno sul pianerottolo dove Vancilea non si è mossa un centimetro, anche se adesso si asciuga gli occhi ed il naso col braccio.
Ebbene? Devo pregarla di entrare? Devo chiederle scusa?
Sollevo la sua sacca da terra e me la porto in cucina: fedele ai sui averi la ragazza mi viene dietro.
Non dico niente, non penso niente, resto indifferente anche ad uno stimolo semplice e vincente come quello di prendere la rincorsa e di spacciarmi la testa contro una parete.
Accendo il fornello e comincio a cucinare. Pastasciutta per due, bistecche per due, insalata - che odio, ma che fa tanto bene - per due. E piatti e posate per due.
Vancilea non mi aiuta e mi scruta incerta, dubbiosa e ancora con qualche lacrima ritardataria. Alla fine va in bagno a lavarsi le lacrime dal viso.
Quando ricompare mi dice qualcosa a voce bassissima, tanto che non capirei neanche se potessi capire, e mi sorride. Sorride come a prendermi in giro o a chiedermi aiuto.
Sono belli i suoi occhi, arrossati e luminosi allo stesso tempo, ed è bella anche lei, di una bellezza pulita e semplice, innocente e non innocente.
E' quasi una sorpresa trovarla così bella e cerco quasi, indagando il suo viso - i capelli, le labbra, lo sguardo - cos'è cambiato in lei.
"Bella!" dico.
Mi distraggo perché l'acqua dal pentolone trabocca e sfrigola sul fornello ma, dopo che ho colato la pasta, che l'ho distribuita nei piatti ed ho dato l'annuncio "Si mangia!", rivivo la stessa emozionata meraviglia.
"Accidenti! Non so cosa ti è successo ma sei diventata più bella!"
"Sarasf tee pins?"
"Saranno i pins!" Concordo. E perché non dovrei essere della sua stessa opinione?
Ci sediamo a tavola. Salo la mia pasta - salo anche la mano di Vancilea che si allunga a chiedermi la saliera - e comincio a mangiare.
La ragazza mangia anche lei, poco convinta, giocando a lungo - sadicamente torturandoli - coi fili di pastasciutta. La gatta col topo: la crudeltà dell'innocenza.
Qualche dolorino alla schiena ed anche il dente non si è calmato del tutto. Abbiamo sparecchiato e la ragazza raccoglie le briciole dal tavolo con una spugnetta.
Dovrei studiare, ma la voglia è proprio poca. Vorrei dormicchiare, ma non so dove mettermi: non fosse tornata Vancilea mi sdraierei coi libri sul letto e poi ... che vinca il sonno o lo studio!
Vancilea mi viene accanto e guarda con me sul terrazzo dove fa caldo anche se manca il sole.
"Wootcììsi. Aleas!"
Alzo le spalle: "Non te l'ho mai detto che sei una bella seccatura? E mantenerti mi costa pure!"
Faccio un gesto alla tavola ormai sparecchiata e la ragazza lo segue con gli occhi e probabilmente capisce. Mi dispiace, ma mi arrabbio di più, metà con lei e metà con me stesso.
"Immagina cosa diranno i miei genitori quando qualche vicina pettegola racconterà di te! E mia zia! E poi non mi lasci studiare! E se cerco di toccarti sembra che io ti faccia schifo!"
Non urlo, ma mi sento cattivo e non me ne pento. Non subito.
"Sibbet! Oligush!"
Non capisco, ma Vancilea si sbottona la camicia, se la sfila e la fa cadere. Poi mi guarda a labbra strette, dure.
Involontariamente i miei occhi sfuggono i suoi occhi e corrono il suo corpo. Ho ancora la rabbia alla testa e quasi non mi sorprendo: "Perfetto! Come vuoi tu!"
Le prendo le braccia e provo, mordendole, ad aprire le sue labbra con le mie: la sua bocca resta dura, fredda; poi la sua testa scivola via e la lascio andare.
La ragazza mi va giù sul pavimento e - se non la frenassi all'ultimo momento - forse si farebbe male. Però non sviene davvero, anzi si fa subito piccola contro la parete: un po' come l'ho trovata prima di pranzo sul pianerottolo.
"Chi ti capisce!" Sospiro esasperato e vado a raccogliere la sua camicia e mi chino per dargliela. Ma poi, osservo con tenerezza, è una cosa proprio piccola il corpo di una ragazza.
Cerco un tono bonario: "Cosa volevi fare? Pagarmi per il pranzo? Guarda di non prendermi troppo sul serio quando parlo: sono io il primo che non si prende sul serio!"
Le prendo un braccio e la faccio rialzare, anche se probabilmente lei resterebbe ancora volentieri rincantucciata e, se potesse, sprofonderebbe fino alle cantine.
Mi volta le spalle e le rotondità delle natiche mentre infila nella camicia e poi resta ad occhi bassi senza parole.
"Io sono un idiota! Continuo ad essere un idiota! Pagherei il mio primo anno di stipendio - che devo ancora guadagnarmi - per fare l'amore con te! Domani, se fa bello, faccio il bagno in mare e mi affogo!" Ridacchio.
Vancilea alza un po' lo sguardo: ha gli occhi sconfitti, eppure ho come la percezione di un sorriso.
"Però, così non potevo!" Allargo le spalle e chiudo gli occhi: sicuramente di questa ragazza, in ogni modo finisca, mi ricorderò per tutta la vita.
Salvario
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