Capitolo 22 - Acqua di mare
Quando ho baciato Vancilea, in quel momento magico e sbagliato che si è venuto a creare tra noi, ho passato un braccio dietro la sua schiena senza malizia, ma la ragazza è sottile e stringendola mi sono trovato un suo seno nella mano.
Adesso che tutto è finito, di quella strizzatina quasi involontaria sento ancora sul palmo la pressione e il tepore, come se quel piccolo seno avesse lasciato sulla mia pelle un'umida impronta.
E me la guardo la mia mano e l'annuso anche, ma senza sentire molto: insisto e alla fine mi pare di cogliere un odore dolce e un po' asprigno che sull'altra mano non ritrovo.
La ragazza mi guarda, afferma seria qualcosa - forse una protesta, oppure una giustificazione - fa un sospiro lungo e triste e per concludere, io sono seduto e lei è in piedi, mi spettina i capelli e ci appiccica sopra un bacetto.
Seguo i pensieri e mi perdo nel ricordo di un tempo che avevo dimenticato: "Cosa vendi, giovane torbida, con i seni al vento?"
Sorrido ad occhi chiusi, ma era un'altra ragazza quella cui avevo sussurrato quei versi. Lei li aveva riconosciuti e, sorprendendomi, mi aveva risposto a tono: "Signore, vendo l'acqua dei mari!"
Aveva una voce strana, dolce e appassionata ma quasi roca.
Troppe sigarette.
Ma era un'altra ragazza ed era tanto tempo fa. Abbastanza da dimenticarmi di lei ed anche di quei versi.
"E' così amara l'acqua dei mari!"
Riapro gli occhi e guardo Vancilea: "Vendimi l'acqua del mare!"
Accompagno la richiesta tendendo il braccio e la ragazza, senza esitare, mi prende la mano con la sua.
Chissà se, come io sento sulla mia mano ancora il suo seno, lei sente ancora l'abbraccio delle mie dita.
"Hai i seni piccoli come una capretta." Le dico e lei annuisce convinta e, tranquillamente, ritira la mano.
"Il mare sorride in lontananza. Denti di spuma, labbra di cielo."
"Vitosan, menossis e ljisas!"
"Menossi Elisa? Mi suona bene, è musicale. Menossi Elisa: deve essere il nome di una bella ragazza. Magari domani le scrivo!"
Vancilea inclina la testa e sembra pensare anche lei a qualcosa di lontano e di perso.
Dopo un'attesa troppo lunga - o troppo corta - ripete un po' contrariata: "Vitosan!"
A me viene solo in mente una medicina od un "San Vito" che potrebbe anche essere un ballo. Ma se la vita fosse comprensibile non sarebbe bella.
Non cerco di capire e penso al mio cuore.
Che piacere mi farebbe comandargli, camminando per strada: "Innamorati di quella bruna!" o "Innamorati di quella bionda!" e, allo stesso tempo, fare innamorare di me la ragazza?
Sarebbe come andare allo stadio a vedere una partita di cui si conosce il risultato: ci si può ancora divertire, ma senza palpiti, senza emozioni, senza passione.
Mi annuso ancora la mano, ma ormai non ritrovo nessun odore particolare. Perduto, perduto anche quello.
Vancilea si siede davanti a me, ma col tavolo a dividerci. Sul tavolo che abbiamo sparecchiato è rimasto solamente il poggiapentole metallico: gioco a farlo rotolare finché Vancilea se ne appropria e comincia a giocarci anche lei.
Mi appoggio coi gomiti sul tavolo e la guardo sorridermi, farmi la lingua e poi ringhiare dietro la griglia metallica come una tigre dietro le sbarre.
"Sei una capretta, non una tigre!" Le ricordo.
Capire perché sono stato così idiota da non saltarle sopra quando anche lei si era - per rabbia o per gratitudine - rassegnata a non resistermi!
"Perché io sono un bravo ragazzo. Uno stupidissimo ed idiota bravo ragazzo che si comporta sempre bene!"
Penso di alzarmi e bermi un bicchierino. Non mi importa niente che Vancilea si sconvolga se vede il vino: ho una voglia matta di bere e sono a casa mia!
Lancio un'occhiata alla ragazza e vedo che mi sorride ironica.
Giurerei a questo punto di essermi alzato, ma probabilmente ho solo sognato di alzarmi e forse era già un po' che sognavo.
Mi sento qualcosa in testa che mi solletica: mi muovo ed una coroncina di carta mi cade dalla testa.
Vancilea scoppia in una lunga risatina di fanciulla. Quando non ride più, ridono ancora i suoi occhi.
"Ho dormito?" Chiedo di cattivo umore.
Guardo l'orologio che segna le tre del pomeriggio e la coroncina di carta che Vancilea mi ha fatto con la pagina del giornale. Devo riconoscere che, dato il materiale, è gradevole come coroncina e fatta bene. Ha persino, ad ornamento, due foglie di salvia odorose prese dal frigorifero: ne prendo una, l'arrotolo e la mastico.
Vancilea riscoppia a ridere ed io protesto arrabbiato: "Vorrei vedere te, se dovessi passare le tue notti su una sedia - e non nel MIO comodo letto - a rodermi per quel fesso che sono!"
Restiamo un po' in silenzio ed io mi informo più dolcemente e speranzioso: "Se faccio una sfuriata ti spogli di nuovo? Magari questa volta riesco a cogliere l'occasione!"
Mi alzo per non riaddormentarmi: mi ci andrebbe una doccia fredda, ma ho paura mi blocchi la digestione. L'aria è forse un po' meno calda di ieri, però la pioggia della mattina deve avere portato a 100 l'umidità.
Inutile stare in casa, anche se non ho molta voglia di uscire: "Preparati, andiamo a spasso!"
La ragazza fa qualche movimento agitato ed io, con le dita della mano, mi spiego mimando sulla parete una passeggiata.
Vancilea mi addita brusca la sua sacca, io guardo lei e la sacca e scuoto la testa: "Andiamo al mercato. Non ci provo più a sbarazzarmi di te. Almeno per oggi!"
Mi osserva, ancora dubbiosa, poi prende lo stesso la sacca e se la porta in camera da letto. Quando riappare si è pettinata, si è data una passata di rossetto e un po' di trucco e mi squadra attenta, come ad aspettare un giudizio.
Io non approvo: mi piaceva di più nella versione casalinga ed arruffata ma pulita, anche se il suo trucco è leggero. Un ritocco alle ciglia e, probabilmente, qualche crema.
E' il rossetto che le sta male e le falsa le labbra.
Salvario
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