Capitolo 24 - Pagliette dorate
Sentendo parlare di "uno sceriffo", io mi sono immaginato un omone caracollante a gambe larghe (ricordo d'interminabili cavalcate nel deserto) e con la stella brillante sul petto.
Quasi ho sentito un tintinnare di speroni e me lo sono visto materializzare davanti sputacchiando tabacco in una improbabile sputacchiera. Ha portato la mano al cinturone e guardandomi bieco mi ha apostrofato: "Cerchi grane, straniero?"
Mi scuoto: "Uno sceriffo? Uno sceriffo tedesco?"
La donna mi guarda interdetta e, con una smorfia di disappunto, precisa: "Un poliziotto! Ha detto di essere una specie di sceriffo. Un poliziotto privato. Ma aveva proprio con una brutta faccia e, grosso com'era, faceva paura solo a guardarlo!"
Mi sento a disagio: per la prima volta in questa torrida estate, riesco a provare un brivido di freddo. Cerco di ragionare, anche se sono molto confuso: "Ma cosa diceva, cosa chiedeva?"
La donna si stringe nelle spalle e fa gli occhi piccoli prima di rispondere, quasi che alla concentrazione del suo cervello debba anche corrispondere una concentrazione di tutto il corpo: "Diceva che cercava la ragazza della foto. E che era stata vista da queste parti. Diceva che la cercava per suo padre."
Si ferma e precisa, senza bisogno: "Il padre della ragazza."
"Scianisc?" S'informa discretamente ed innocentemente Vancilea che probabilmente non ha capito che parliamo di lei ed è scocciata di dover aspettare.
Prendo le chiavi di casa e gliele tiro. E' un bel lancio, ma lei le manca - le carambolano tra le dita, le rimbalzano su una spalla e cadono.
Grida qualcosa che deve essere una colorita imprecazione o che almeno ne ricorda una italiana che ha un'intonazione identica, e finalmente riesce a recuperare le chiavi qualche gradino più in basso.
Mi sorride, mi fa vedere che conosce nel mazzo la chiave giusta per la porta e, soddisfatta, riprende a salire.
La vicina guarda e non commenta. Quindi mi dice in un fiato: "Io a quell'uomo non ho detto nulla perché, anche se diceva di essere un poliziotto, mi faceva paura e non m'ispirava fiducia. Però forse qualcun altro può averlo avvertito che è qui: quell'uomo chiedeva a tutti e quella stella faceva impressione!"
Annuisco e la ringrazio. La donna alza le spalle e commenta ancora: "Però se è proprio suo padre è giusto che la ragazza torni a casa. Magari hanno solo litigato e ..."
"Già!" Taglio corto e ringrazio ancora, saluto - ci tocchiamo di malavoglia la mano - e riprendo le scale.
Sono così sconvolto che arrivato sul pianerottolo guardo la porta chiusa e non so come entrare perché non trovo le chiavi. Poi quando mi appoggio alla porta e la porta - solo accostata - si apre, mi ricordo di averle lanciate a Vancilea non più di un paio di minuti prima.
Almeno la brava figliola non mi ha chiuso fuori di casa mia.

Seduta al tavolo della cucina Vancilea gioca con una delle due pagliette di acciaio che sta scientificamente dipanando.
Mi siedo davanti a lei e cerco di farla ragionare. Uso quello che mi capita tra le mani per spiegarmi e comincio dalla paglietta stessa: "Vancilea: tu!"
Prendo uno dei bicchieri: "Papà Vancilea. Tuo Papi! OK? Vancilea's father. Yes?"
Mi annuisce senza partecipazione ed io vado avanti. Prendo un barattolo di marmellata: "Andrea! Io! Andrea!"
Vancilea guarda, pare capire, poi prende decisa la paglietta, commenta giustamente: "Vancilea!" e riprende a dipanarla.
Con pazienza - ma chi ha detto che una donna non si tocca neanche con un dito? Ci vogliono le fruste che i carovanieri usano per i cammelli per metterle al loro posto! - le riprendo la paglietta ("Vancilea!") e la accosto al bicchiere ("Papà Vancilea!").
Ripeto per chiarezza: "Vancilea e ... Papà Vancilea!"
E poi? Ipotesi: "Litigio! Pum! Sbeng! Sciaff! Stong! Crash!"
"No! Agighna sojiliyt!"
La ragazza mi guarda così dolorosamente sorpresa che interrompo la rappresentazione. Lei esita, prende il bicchiere, lo bacia e lo mette vicino alla paglietta.
"No? E allora?" Domanda senza risposta.
Continuo e prendo la paglietta e la marmellata: "Vancilea ... e Andrea! Adesso insieme. Io e te. Capito cucuzzola?"
Sembra di sì, anche se le conferme sono tutte da interpretare, ed io continuo. "Domani Vancilea e Andrea ... bo-bom bo-bom bo-bom! (suono di un allegro trotterellamento) ... vanno da papà Vancilea!" E ammucchio vicini i tre oggetti.
Vancilea sospira, sembra triste, e scuote il capo.
Provo ad insistere, ma la ragazza si alza e prende un altro bicchiere di quelli vecchi che stava scolando sul lavello.
"Sapignàr!" Prende la paglietta e la accosta al nuovo bicchiere, anzi gliela infila dentro.
"Sapignàr?" Ripeto senza capire.
Lei annuisce e, senza più sedersi, fa per andare sul terrazzo. Poi ci ripensa e, prima di uscire, prende ancora con se quell'oggetto affascinante che per lei è la paglietta dorata.
Che creda sia d'oro davvero?

Ho riprovato a comunicare, ma senza concludere molto.
Una paglietta è perduta, ma ho nascosto in un luogo protetto l'altra per recuperarla quando servirà all'uso per il quale è stata realizzata.
Quando ho rinunciato a farmi capire Vancilea ha starnutito due volte ed è andata ha farsi una doccia.
"Sapignar?" Non lo conosco, ma mi sta antipatico.
Alla faccia sua e di chi non mi merita preparo cena: latte freddo ed insalata fresca del mercato. Con acciughe.
Ed apparecchio tavola con il nuovo lusso di due bicchieri uguali: non sembra, ma rendono subito l'ambiente un po' più ordinato.
Quando Vancilea mi raggiunge, non posso che farle notare i due bicchieri: "Uguali!"
Lei annuisce, perplessa e poi mi guarda negli occhi così seria che mi dimentico i bicchieri. Noto la sua pelle umida sotto la mia camicia molto più sbottonata di quanto è solida concedere ed il mio sensibile cuore mi inciampa nel petto, fa un sobbalzo sbilenco e poi si torce un po' per riadattarsi al suo posto.
Vancilea chiude la camicia con la mano, ma senza abbottonare nessun bottone. Tranquilla si siede e comincia a mangiare.


Salvario
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