Capitolo 25 - Sapore d'arancia
Vancilea mangia, con l'allegro e disinvolto appetito che le è solito, tutto quanto è previsto nel nostro odierno menu mentre io, chissà perché, ho poca fame e bruco svogliatamente, solo per non restare digiuno, due foglie d'insalata.
Ho acceso la radio e l'ho spenta dopo avere girato una dozzina di stazioni senza avere trovato una musica o un programma che mi soddisfi. Persino un'emittente che trasmette una messa o il rosario.
Allontano il piatto senza averlo svuotato e guardo la ragazza mangiare: lei se ne accorge e mi guarda interrogativa a sua volta.
Ha gli occhi umidi, accesi come da una leggera febbre.
Ci guardiamo tranquilli e senza imbarazzo poi, con indifferenza, lei riprende a mangiare con la sua solita metodica distruttività.
"Dovresti pesare ottanta chili a mangiare così!"
Scoppia a ridere e mi risponde anche qualcosa, mi osserva di nuovo e si stringe nelle spalle.
Riprendo il mio piatto e rigiro l'insalata avanzata alla ricerca del mio appetito; non trovo stimoli se non per infilzare metodicamente con la punta della forchetta i pezzetti di acciuga. Ne offro uno a Vancilea quando scopro che mi sta ancora osservando ma lei rifiuta decisa scuotendo la testa con una disapprovazione un po' schifata.
"Nessun problema principessina: me lo mangio io!" dico ed eseguo.

In qualche appartamento vicino, penso un paio di piani sotto di me, gli inquilini stanno litigando e si gridano dietro come cani feroci. Voci di un uomo, di una donna e poi grida acute e lacrimose di una ragazza. La ragazza ha una voce acutissima e non si capisce nulla di quello che dice. Forse non sono neanche italiani. Forse li capisce Vancilea.
Dopo una decina di minuti si sente uno schianto e qualcosa che va in frantumi - un vetro, piatti o un grosso specchio - e di seguito la voce inferocita dell'uomo; dopo torna il silenzio.
Vancilea ha finito di mangiare anche la frutta, indifferente alle urla e al clamore come alla nuova quiete.
"Chissà se l'uomo le ha macellate tutte due..." Azzardo e Vancilea, quasi avesse aspettato quel segnale, si alza e comincia a sparecchiare.
La lascio fare e, soltanto quando ormai è quasi alla fine, mi alzo e vengo ad aiutarla.
Metto il detersivo nella lavastoviglie, regolo la manopola sul ciclo "C" e accendo. La macchina fa un piccolo muggito, sobbalza con due colpi pesanti e comincia borbottando a caricare acqua.
Soddisfatto mi giro e quasi travolgo Vancilea di cui non mi sono accorto e che strilla e salta indietro.
"Che caspita, attenta tu! Io mica ci ho gli occhi dietro!"
Fa una risata facile e allontana i capelli dalla fronte.
Io abbasso gli occhi sulle piccole rotondità dei suoi seni e lei velocemente riaccosta gli orli della camicia, sempre però senza abbottonare nessun bottone.
"Antipatica! Non mi lasci neanche sbirciare!"
Vancilea alza le spalle e mi osserva negli occhi; e poi al collo come se avessi la cravatta ed il nodo mal fatto. Forse vuole dirmi qualcosa ed io provo a comunicare di nuovo, anche perché parlare è il modo più facile per starle vicino, guardarla e sentire anche il suo odore di ragazza.
Trovo sul giornale la foto di un poliziotto e gliela faccio vedere: "Polizia! Sceriffo! Ti cerca! Cerca te!"
Lei osserva la foto, passa un dito sulla didascalia e mi fa un chiaro segno di volere una penna e di volere scrivere.
Trovo una matita cui faccio in fretta la punta e lei la usa con serietà per aggiungere sulla faccia del poliziotto barba baffi e due vezzosi cornetti. Non dico niente, proprio niente. Anzi: qualcosa tra i denti la dico, ma non è il caso di ripetere.
La ragazza, dopo che ha finito, mi ripassa il giornale molto soddisfatta di sé. Io lo arrotolo e lo userei anche per darglielo in testa, se non fosse che lei strilla appena accenno a sollevarlo per picchiarla.
"Strega! Non ti ho neppure toccato un capello! Se ti meno veramente quanto strepiti?"
Lei mi guarda birbantesca e mi tira fuori la lingua.
"E mi fai la lingua! Io te la strappo quella linguetta rossa se ci riprovi!" La minaccio scherzosamente col dito fino a due centimetri dal suo naso e all'inizio lei sembra quasi un po' spaventata, ma appena abbasso la mano mi ritira fuori la lingua, anche se in fretta e solo la punta.
Faccio solo in tempo a dire un "Ah!" più minaccioso e lei, invece di scappare, mi viene più vicina, così vicina che mi basta piegare il collo per abbassarmi di quel giusto che mi basta per posare le mie labbra contro le sue.
Le assaggio un attimo e le sento schiudersi cedendo poco a poco e offrendomi, oltre la piccola e dura muraglia dei denti, il sapore dolce dell'arancio che ha mangiato come frutta. Bevo quel sapore con avidità dalla sua bocca, con una fame che voglio saziare subito e per sempre. Al diavolo se la mia bocca invece avrà il sapore delle acciughe!
Le prendo il volto tra le mani, poi con le mani scivolo sul suo collo e sulle spalle e, solo quando sento la tela leggera che sto respingendo scivolare giù e Vancilea sussultare in un brivido di tutto il corpo, perdo il contatto con la sua bocca.
Non è che la ragazza si divincoli, è solo che mi scivola via, quasi cadendo dalla punta dei piedi su cui si era sollevata per rispondere e meglio ricevere il mio bacio - scivolata e caduta come la camicia che è scesa in vita e sugli avambracci scoprendo ora completamente due piccoli frutti tondi e appetitosi che mi vibrano elettrizzandomi nel movimento.
"San Filippo dei Normanni! Che meraviglia! Si possono prendere?"
Vancilea fa per coprirsi, ma si ferma al mio "No!" che vorrebbe essere una preghiera ma suona, anche alle mie orecchie, sicuramente troppo imperioso. Mi guarda smarrita ed io, con una facilità istintiva che sorprende anche me, le abbasso le braccia e lascio che la camicia scivoli a terra.
La ragazza mi resta in piedi davanti con addosso nulla più di quanto indossa abitualmente un passerottino. E, per mia fortuna, per essere un passerotto, non ha penne ed ha ben poche piume.
Mi alzo e mi avvicino piano di quel pochissimo che ci separa pensando: "Adesso scappa via e urla come se avesse un incubo."
Invece non urla, anzi si lascia prendere dalle mie mani e baciare tenendo le braccia abbandonate e inerti lungo il corpo.
Riassaporo forte sulle labbra il sapore d'arancia della sua bocca.


Salvario
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