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la teoria del design come analisi del linguaggio dei prodotti


aggiornata 02.07'99

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il linguaggio del design*

Non è banale ne sottile la distinzione tra linguaggi scritti e linguaggi iconici ma , per evitare complicazioni, rimando la relativa problematica ad un altro momento della mia esposizione. Per ora propongo assiomaticamente l'esistenza di un linguaggio del design come un sistema di segni ad hoc. 

Una tale ipotesi ha senso se ha rilevanza per comprensione dell'utilizzo nel design stesso. In particolare per l'insegnamento e per uscire dalle attuali aporie del design. 
Questa mera ipotesi equivale comunque, ed è questo anche il suo ostacolo maggior, ad una ricerca dei fondamenti del design quale fenomeno  caratteristico per la società industrializzata. 

Ci sono stati molti tentativi per formulare una globale teoria del design con un relativo linguaggio però, per quanto ne so, questi sono generalmente più di carattere metodologico che fondativo. Bürdek  nel suo celebre libro  fa appunto questa distinzione, la prima riguarda i metodi di strutturazione dei problemi del design e dei relativi processi di 'problem solving' mentre l'altra concerna la tematica più generale della fondazione di un quadro scientifico della filosofia del design. E' come questi tentativi di formulazione di una teoria coerente descrivessero una ampia circumnavigazione del tema centrale, visitando molti luoghi disciplinari confinanti quali la teoria dell'informazione, l'ergonomia, il marketing, la sociologia, la psicologia della percezione, che però tutti rimangono a una certa distanza (rispettosa?) dalla questione centrale circa l'essenza del design stesso. Quelli che assertano l'esistenza di un particolare linguaggio del prodotto sono più vicino a questo nucleo o, con una definizione più recente: "Una qualsiasi teoria del design degli anni novanta non può che essere una teoria dei media" (2)
 

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la dimensione razionale del design

In una definizione utilitaria del design, e più in generale di un prodotto, possiamo rilevare una sua caratteristica fondamentale, quella della natura di protesi, in quanto sempre collocabile, come un ausilio funzionale, tra l'uomo e l'ambiente. In altre parole il design assolve un compito funzionale di assimilazione e accomodamento dell'uomo nel suo contesto. Spesso nei prodotti si può riconoscere questa polarità uomo-ambiente nei particolari come il sedile e le gambe di una sedia, il primo rappresenta in qualche modo l'uomo gli altri il terreno da cui l'uomo si solleva per assumere la posizione seduta. Questa relazione si può, nella sua forma più essenziale, esprimere così 
 
H-P-C

clicka qui per vedere un esempio







Un design che si poggia prevalentemente su questo tipo di espressività viene di solito nominato funzionalista. 

Il criterio razionale della funzionalità trova una stretta analogia nelle forme della natura che per via selettiva mirano alla ottimizzazione tra forma e funzione. (3) In particolare le ricerche matematiche sulla morfogenesi e sui frattali consentiranno di comprendere meglio i meccanismi sottostanti alla pluralità delle forme nella natura.(4) Le stesse ricerche serviranno anche alla comprensione degli aspetti formali dei prodotti industriali. Lo studio della natura costituisce dunque un capitolo importante anche per il design anche se non copre, come vedremo, soltanto una piccola parte dell'arco delle possibilità del designer. 

 

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il Mental Design Model

Possiamo chiederci come, dopo aver compiuto la abituale e necessaria ricerca commerciale, ergonomica, funzionale e tecnologica, si crea effettivamente un design. Si comprende facilmente che anche prtima di aver tracciata una linea sulla carta o sul monitor, dobbiamo avere una cosidetta idea o un concetto. Questo punto cruciale per la comprensione del processo del design non è stato, per quanto ne sò, soggetto di una ricerca approfondita. Quale è la natura di questo processo mentale, è di tipo verbale o pensiamo in immagini? 
Potrei immaginare la creazione nel pensiero di una spezie di modello preliminare, un modello di design mentale (MDM), adoperando un tipo di logica topologica applicata a forme semplici o a forme pre-esistenti nella nostra esperienza. Posso ipotizzare che questo design mentale si servi di pochi essenziali meccanismi topologici. Infatti bastano i tre fondamentali con le loro combinazioni per immaginare una forma qualsiasi; essi sono: unione, sottrazione e trasformazione.

Possiamo, per esempio, unire due forme elementari come un cubu e un cilindro; oppure possiamo tagliare un buco cilindrico in un cubo; o altrimenti possiamo trasformare un cubo gradualmente da una base quadrata ad una sommità circolare. Possiamo anche imaginare, come è stato fatto recentemente, una nuova Porsche 911 più lunga e più larga del suo celebre predecessore. Questo processo mentale include naturalmente in modo simile il colore (quanti colori possiamo immaginare?) e la testura. E ciò non avviene in un ambiente privo di riferimenti tecnici, funzionali o sociali nella misura che connettiam, almeno parzialmente la nostra immaginazione ad una applicazione ragionevole. Quest complica la situazione ma non invalida l'ipotesi di un MDM con principi operativi fondamentalmente semplici. 

 Vediamo il MDM all'opera design di una poltroncina.


 
 

la dimensione magica del design

Infatti, sempre rispettando i requisiti della funzionalità come anche quelli tecno-produttivi e commerciali, il designer ha infinite possibilità formali per il design dei particolari. Un compito specifico questo, il cui importanza per il successo dei prodotti sul mercato peraltro viene sempre più riconosciuta, opportunamente distinto da quello degli ingenieri e del marketing. 

Con altre parole, il designer da il via ad un processo semiotico del prodotto, nella configurazione dei particolari, nel loro posizionamento topologica e nella gerarchia dell'insieme, la loro rilevanza (l'evidenziazione) o l'insignificanza (la mimesi) e  tramite l'applicazione dei meccanismi morfogenetici per la definizione della forma. 

Il designer insinua pero' cosi', tramite la potenza metaforica e simbolica di queste forme, un  rimando a molteplici significati e interpretazioni. Questo senso plurale risiede spesso nella forma del particolare, quasi una cerniera fra significante e significato, spesso incontrollabile e incontrollata per l'analisi razionale in quanto fa appello al subconscio dell'utente. 
Il prodotto si inserisce in questo modo, come design, in un mondo di miti e di simboli, che si sovrappone alla banalità con un senso piacevole ludico o persino rituale. Preparare una tazza di caffè come fosse una pozione magica, viaggiare in automobile come si volasse su un tappeto di mille e una notte. 

La percezione dell'estetica dei prodotti si presenta, sotto questo angolazione, come la lettura di una scrittura di elementi criptici, enigmatici e poetici. 
Saporiamo il gusto del paradosso: il fascino delle merce risiede apparentamenti nella promessa di soddisfazione di bisogni razionali, ma forse si tratta in realtà della trasmissione di eufemismi arcaici. 

Infatti l'uomo-sapiens interagisce da sempre con l'ambiente con uno scambio che Gilbert Durand definisce il "tragitto antropologico, cioè l'incessante scambio che esiste al livello dell'immaginario tra le pulsioni soggettive e assimilatrici e le intimazioni oggettive provenienti dall'ambiente cosmico e sociale". (5)

La magia del linguaggio del design si potrà forse comprendere meglio studiando questi atavici rapporti dell'uomo con la divinità. Scopriamo anche nel design la sorprendente esistenza di un simile linguaggio delle forme che esprimono questi rapporti, un linguaggio poco esplorato e ancora meno classificato, di cui non conosciamo molti espressioni ma non il lessico, la grammatica o la semiologia. 

Walter Benjamin ne ha già parlato: "Esiste un linguaggio della scultura, della pittura, della poesia. Come il linguaggio della poesia si fonda, anche se non esclusivamente, nel linguaggio nominativo degli uomini, è ben pensabile che il linguaggio delle forme plastiche o della pittura sia fondata in certe specie di linguaggi oggettuali e  che in questi avviene una traduzione del linguaggio delle cose in una lingua infinitamente superiore anche se forse appartenente alla medesima sfera. Si tratta qui di linguaggi senza nomi, senza suono, di linguaggi del materiale..." (6)

Lo scambio di cui parla Durand coincide con la nascita di questo linguaggio, dell' Ur sign . Antropologi come Marija Gimbutas (7) , ci forniscono testimonianze come per esempio le statuette neolitiche che gli antichi greci chiamavano xoanon .
Apprendiamo dal testo della Gimbutas, con beneficio d'inventario, che nel Neolitico Antico l'Europa era abitata da popoli che praticavano una religione della Grande Dea, dispensatrice della terra che si rinnova, ma anche signora della morte, popoli che risiedevano in villaggi, praticavano l'agricoltura, non conoscevano la guerra, vivevano in armonia con la natura. (insomma come l'Europa futura della moneta unica). 
Gimbutas ha il merito di tentare una classificazione semiologico di quell'arcaico linguaggio iconico, insieme grafico e plastico. 

 

xoanon statuetta di una Dea
(dalla copertina del libro della Gimbuta)
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gli origini

Ci sono stato certamente simili linguaggi in altri tempi e luoghi, e che nell'insieme nella memoria collettiva hanno contribuiti e continuano a contribuire alla formazione di un substrato semiosico, preliminare a qualsiasi nostro ragionamento o giudizio. 
Miti antichi, favole, racconti, trasmessi in modi anche sorprendenti, per esempio tramite i fumetti, i giochi, i videogames, lo sport, nel design e quant'altro influiscono per queste vie, sia verbalmente che iconicamente, tuttora sul nostro comportamento e sulle nostre ideologie. 

Ora si capisce, per esempio, che il Twingo della Renault, nato nel 1992, che suggerisce nelle sue forme innovative il gioco e il divertimento, da ragazzi, al posto di una competizione al livello di status, era stato preannunciato vent'anni prima, dagli automobili in cui viaggiava Paperino nei fumetti disneyani. Ne sono stato venduto già oltre un milioni di esemplari... di Twingo. 
 
twingo
foto di Claus Donner 
Voglio menzionare in questo contesto anche alcuni prodotti del nostro studio come una mia scaletta pieghevole per la Kartell che con l'audace riduzione dei sostegni suggerisce una certa immaterialità; oppure le posate in acciaio inox di Hiroko Takeda per la Serafino Zani che riprendono il classico motivo giapponese delle pettine delle Geisha, una forma simile alle foglie del Ginko Bilobo, albero che troviamo anche nei nostri parchi cittadini. Questi prodotti, che esprimano nel loro meditato linguaggio formale significati metaforici, trovano una positiva accoglienza da parte del pubblico. 

Nell'analisi dello sviluppo di tali linguaggi e nella considerazioni della loro origine, più che sulle ricerche del marketing, si potrebbe rifondare criticamente il nostro rapporto ormai problematico con la produzione, sul consumismo, sulla ecologia, sul ruolo del design e della comunicazione in genere. 

 

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  1.  Berhard E. Bürdek, "Design: Storia, teoria e prassi del Disegno Industriale", Mondadori, Milano, 1992 (Köln, 1991) (ritorna al testo)
  2. Hans Ulrich Reck, "From "Invisible Design" to Invisible Design. Challenges the Media Pose for a Contemporary Design Theory", ne formdiskurs. Journal of Design and Design Theory, 1,I/1996, p.46 (ritorna al testo)
  3. D'Arcy W.Thompson, "Crescita e forma", (1917), Bollati Boringhieri, Torino, 1992 (ritorna al testo)
  4.  cfr. René Thom, "Stabilité structurelle et morfogénèse", InterEditions, Paris, 1977 (1972), p.8: "La construction d'un modèle quantitatif global...reste évidemment l'idéal qu'on doit s'efforcer d'atteindre; mais la chose peut être difficile, voire impossible;...même si l'obtention d'une dynamique d'évolution globale n'est pas possible, on n'en aura pas moin une intelligence locale bien améliorée du processus." (ritorna al testo)
  5. Gilbert Durand, "Le strutture antropologiche dell'immaginario", Dedalo, Bari, 1972, p.398 (PUF, 1963) (ritorna al testo)
  6. Walter Benjamin, "Studi sulla filosofia metafisica-storica",  (1916) G.W.II,1, p.156 (ritorna al testo)
  7. Marija Gimbutas, "Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea madre nell'Europa neolitica.", (1989), Neri Pozza, Vicenza, 1997 (ritorna al testo)
  8.  Tra i tentativi significanti di formulazione di un linguaggio iconico vorrei menzionare quello di Claud Cossette, che si può trovare nello sito seguente (in lingua francese):  http://dionysos.ulaval.ca/ikon/finaux/1-texque/imadem/IMADEM.HTML 
 
*   Intervento di  al convegno "Il fascino discreto delle merci", 8 e 9 Maggio 1998 a Roma(torna al testo)
**   vede la pages du un fan danese http://www.hum.auc.dk/~cd/twingo/twingo.htm(torna al testo)


 
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