Marcello Labor: conversazioni con i malati
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Conversazioni con i malati
Le "Conversazioni con i malati" sono la trascrizione di sei radiotrasmissioni tenute da Marcello Labor a Trieste nel 1954. Prete o laico, Marcello Labor fu scrittore ancora in attesa di venir collocato nella Mitteleuropa del Novecento; ed il suo stile rimase inconfondibile anche quando parlava a braccio. Modificarlo sarebbe come togliere la clava ad Ercole: la sua era e rimane prosa d'arte.
Il tema di queste conversazioni è particolarmente attuale, perché oggi la dignità del malato equivale per molti all'assenza di sofferenze ritenute inutili; e coerentemente con questi principi, quando le sofferenze si fanno più gravi si vuole, in nome di tale dignità, por termine alla vita. Ma per Marcello Labor la sofferenza non è mai inutile, perché il cristiano trova proprio nella sofferenza nuova dignità e nuovo scopo alla vita e con san Paolo completa nella sua carne la passione di Cristo; ed in ciò vi è gioia che trascende il soffrire.
In questo venerdì che precede la Domenica di Passione...
Prima radiotrasmissione del 2 aprile 1954
In questo venerdì che precede la Domenica di Passione, miei cari sofferenti, miei cari malati (le cui ansie e le cui pene io conosco tanto bene), vengo a rivolgere a voi una parola fraterna e paterna.
DOMENICA DI PASSIONE: Voi sapete ciò che passione significa: passione equivale a patimento, anzi a patimento duro, di tutto l'essere. E Chi ha patito in questo modo - e patito per noi tutti - dunque anche per voi ed anche per me che vi parlo, è proprio Gesù. La Chiesa canta di Lui: "Brilla il mistero della Croce dove la vita (la vita di un Dio) ha subìto la morte, e con la sua morte ci ha reso la vita." [nota 1] Il Pane santo, che riceveremo per Pasqua, è frutto del suo amore immenso, che Egli ha portato a voi ed a me. La istituzione di questo pane - che chiamiamo la Comunione Santa - è avvenuta nel Giovedì Santo. Giovedì a otto è (vorrei dire), l'anniversario di quel giovedì di 1921 anni or sono; allora Gesù ha detto: "Questo è il mio Corpo che sarà immolato per voi. Questo è il Calice del nuovo patto del mio sangue. Fate questo in memoria di me. [nota 2]
Ma cosa hanno fatto gli uomini per rispondere alla Sua bontà? San Giovanni dice: "I suoi non Lo ricevettero". [nota 3] Gli fu reso male per bene. "Voi mi disonorate" è costretto a dire Gesù; ed anche oggi lo ripete. Quando penso a questi fatti, a cui mi sembra di assister con gli occhi e le orecchie della mia mente, comprendo più che mai il dolore (sia quello che proviene dai disagi sociali, sia quello che colpisce il nostro spirito nella sensazion di essere sperduti in un mondo senza confine, sia anche quello che voi ora state provando, così duro, così opprimente, questo dolore fisico che ci ha afferrato e che vi fa vivere nella insicurezza e nell'ansia), comprendo più che mai - dicevo - che questo dolore deve avere un significato: un significato forse che supera la capacità della nostra mente, e che è racchiuso nei misteri insondabili di Dio.
Ma Gesù, Gesù Cristo, è la parola vivente di Dio [nota 4]; e Lui ci mostra nel Suo Corpo straziato, e nella Sua anima incompresa, e nello squarcio del Suo Cuore, quale valore infinito abbia il dolore nel pensiero abissale di Dio. Rileggo (e ve lo dico ancora una volta: per voi e per me) qualche parola detta dal Papa nostro - che tutti amiamo - nella festa della Presentazione della Vergine Santissima al Tempio (quella festa che noi chiamiamo della "Madonna della Salute") nell'approssimarsi dell'Anno Santo. [nota 5] Invero, egli ha parlato anche poco tempo fa da malato ai malati e le sue parole forse (se Dio vorrà) le commenteremo e le rivivremo nei prossimi mesi. Ma ora, nell'avvicinarsi della Santa Pasqua, in cui con la Comunione unirete la vostra anima all'anima del Signore e le vostre sofferenze alle Sue sofferenze, mi sembra opportuno ricordar proprio quelle Sue parole. Ha detto:
Vorremmo, in preparazione a questo grande tempo di grazia, aiutarvi a meglio comprendere ed apprezzare il frutto che voi potrete raccogliere dalla meditazione dei patimenti di Gesù per addolcire la vostra angosciosa sorte con la pazienza, illuminarla con la speranza, trasfigurarla con la coscienza del suo valore e della sua fecondità. Il balsamo della Passione di Gesù vi darà la pazienza nella prova. Sotto il peso opprimente della malattia, della infermità, acuta o cronica, torturante per la sua intensità o per la sua durata senza fine, alla povera natura crocifissa riesce spesso ben difficile rassegnarsi, di continuare a credere che Dio l'ama ancora, mentre la lascia tanto soffrire! Crocifissa? Sì, ma guardate Colui che è il Crocifisso per eccellenza. Lo riconoscete voi? È il Figlio diletto in cui il Padre si è compiaciuto. Guardatelo, gli occhi negli occhi e dite al buon Dio che voi credete al Suo amore per voi. Distesi forse sopra un disagiato giaciglio, voltandovi ora da una parte ora da un'altra, senza trovare mai tregua, guardatelo immobilitato da chiodi che Lo trafiggono sul legno ruvido della dura Croce. La vostra gola è riarsa per la febbre? Le medicine sono amare? A Gesù sul Golgota non diedero che fiele e aceto. E così a ciascuna delle vostre sofferenze, lamenti e doglianze Egli risponde dolcemente: "Oh, sì, so quel che è. Sono passato per le stesse pene. Avendo preso su di me tutti i dolori, sono anche per mia propria esperienza compassionevole e misericordioso." [nota 6]
Così ha parlato nella festa della "Madonna della Salute" cinque anni fa il Papa, il Vicario di Gesù-Pastore: Colui che ha preso sulle Sue spalle anche il compito di portare su di sé le sofferenze di Gesù stesso. Mi fermo alle ultime parole: Gesù ha fatto esperienza del nostro misero soffrire. Solo esperimentando si può sapere ciò che voglia dire il patire, l'essere staccato dal proprio mondo, forse dalle persone care, dal nostro lavoro, che molte volte è sì, il nostro peso, ma tante volte è pure la nostra gioia e il nostro sollievo. Chi ha esperimentato, come Gesù ha voluto esperimentare, sa cosa significhi l'essere costretto ad abbandonare tutte le consuetudini che riempivano la vita da mattina a sera, e da sera a mattina.
Ma quando si è conquistata questa divina certezza donata a noi dalla fede, che l'Uomo-Dio ha voluto tutto provare e (avendo tutto provato) espiare la quantità di male che c'è nel mondo, e offrire a noi così la possibilità di approfittare, ciascuno di noi, del merito della Sua sofferenza, allora si arriva a inravedere che anche noi dovremmo "esperimentare" ciò che il Signore è, e vuol essere, per ciascuno di noi. E per esperimentare questa meravigliosa vita di comunanza con Lui, non basta la conoscenza, non basta una lettura, certamente non bastano quelle parole che voi ascoltate trasmesse dalla radio oltre lo spazio che ci separa, ma ci vuole quel contatto che Egli offre a tutti nella prossima Pasqua per mezzo della Comunione Pasquale.
Ma "un" contatto non basta; bisogna ritornare spesso da Lui, e accanto a Lui cercare di percepire col cuore ciò che Egli vuole da ciascuno di noi, ciò che vuol fare, ciò che attende, ciò che dona di conforto, di vita soprannaturale, di certezza sovrumana. Cantava già il Profeta migliaia di anni fa: "Venite e saggiate come è soave il Signore." [ nota 7] Questo invito oggi io lo ripeto a voi, a ciascuno di voi; voi potete credere a chi nella sua vita ne ha fatto personale esperienza. Giunga a voi tutti la mia benedizione sacerdotale accompagnata dalla preghiera che in questo momento elevo per le anime vostre. Prego anche che la vostra sofferenza, resa santa dalla presenza di Cristo in voi - nel vostro cuore - possa avere il valore di supplica per tutti i perseguitati per la fede, e possa ottenere dal Signore sollievo, liberazione, pace.
Miei amici che soffrite...
Seconda radiotrasmissione del 30 aprile 1954
Miei amici che soffrite, al principio di questo mese ricordo di avervi rivolto una parola che ho sempre viva nel mio cuore: bisogna esperimentare ciò che significhi unirsi spesso, strettamente, intimamente, amorosamente a Gesù presente nell'Eucarestia. Penso che voi avrete voluto fare la Comunione Pasquale; e, non solo per una tradizione di famiglia, ma in uno slancio dell'anima che vuole lasciarsi prendere da Dio, e trovare in Lui tutta la certezza. Comprendo che, per ricevere realmente quanto il Signore nel Sacramento pasquale vuol darci, è necessario avere fede, e fede buona in Gesù risorto. Rileggo ogni anno, imparando sempre qualche cosa di nuovo, l'incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus che si allontanano da Gerusalemme dopo la crocifissione. Sono tristi, desolati, possiamo dire, accasciati; il Maestro, che aveva risanato tanti malati e operato tanti prodigi, aveva loro fatto balenare la speranza della Sua risurrezione e del Suo ritorno; e ora nulla di tutto ciò si vedeva. Penso che voi vi siete trovati spesso, miei ammalati cari, care anime che soffrite, in condizioni simili: tristezza, desolazione, esasperazione; avete pregato Gesù taumaturgo, Gesù sanatore ed Egli non è venuto; amici miei, leggete e rileggete piano piano, prendendo il libro nelle mani come una cosa sacra, quel brano che trovate nel Vangelo di S. Luca al capo XXIV. Quando io lo rileggo, ho ogni volta l'impressione che Gesù dica anche a me: "O stolto, tardo di cuore a credere! Non doveva il tuo Signore e Maestro tali cose patire e così entrare nella Sua gloria?". Dovevea patire: questa affermazione l'ho riletta anche in altri Vangeli, e l'ho riudita nella parola di S. Pietro. E allora, tutte le volte, mi è ritornato nell'anima ciò che mi è stato insegnato: "Cristo (che col Suo corpo mortale è passato sulla terra quasi duemila anni fa) continua a vivere qui sulla terra, misteriosamente unito a tutte le anime. Mi è stato insegnato: "Tu sei il Corpo di Cristo, e un membro Suo unito agli altri membri. E ancora mi è stato detto: "Cristo nutre e circonda di cure la Sua Chiesa (e la Sua Chiesa siamo noi, membra del Corpo di Lui, della Sua carne, delle Sue ossa)." E un'altra volta mi fu riaffermato, (ve lo dico così, ma è San Paolo, il grande apostolo, che ha parlato così ai primi credenti, pochi anni dopo l'Ascensione del Signore al cielo): "Noi sebbene molti, formiamo un unico corpo in Cristo." "Stolto e tardo di cuore," mi son ripetuto: è Cristo che, vivendo col Suo spirito in te, vuol ancora, in te soffrendo e in te accettando il dolore, compiere la redenzione di questo povero mondo, traviato e colpevole. Quando si è immersi nel dolore, fa tanto bene ritornare a questi pensieri, che ci fanno sentire - anche nella oscurità del nostro tragitto umano e terrestre - che Dio è sempre presente, che Dio è sempre buono, che la Provvidenza c'è, e che la fede non è un sogno, ma una realtà vitale, unica fonte di serenità nel travaglio umano.
Amici miei, vi dico ancora una cosa: sapete ciò che stavano facendo i due discepoli di Gesù, mentre camminavano nella tristezza, anzi sapete cosa fecero, così da ottenere in fine la gioia di sentire e vedere accanto a sé il Signore, tanto atteso e tanto amato? Ve lo dico subito: anzitutto coltivavano un grande desiderio di Lui, di voler udire la Sua voce anche nel tormento dell'inquietudine; parlavano di Lui; si occupavano di Lui; e esercitarono un'opera di misericordia generosa verso il pellegrino che li accompagnava, e in cui non avevano ancora riconosciuto Gesù lo invitarono con sé nell'albergo, gli dettero ospitalità, gli offrirono il pane; ed Egli si rivelò davanti a loro. Ah, miei cari, io vi posso assicurare che Dio, anche se non ci appare materialmente, ci fa sentire la Sua presenza amica e provvidente, quando facciamo anche noi così: occuparci di Lui, credere a Lui, parlare di Lui, cercare Lui; ma sopratutto fare il bene intorno a noi. Lui che ha detto "ogni volta che avrete fatto al più piccolo dei miei un servizio di amore, sarà come se l'aveste fatto a me". Lui, dico, ricambia sempre ogni servigio amorosamente prestato. Anche un sofferente, anche un malato può fare tanto del bene ai suoi compagni di sventura; può prestar ascolto benevolo agli altri, mostrar agli altri (pure immersi nel dolore) che si può guardare alla sofferenza con fede, chiudendo in un geloso silenzio il segreto di questa misteriosa azione di Dio; e una parola cordiale; e uno sguardo cordiale; e una stretta di mano incoraggiante o riconoscente: quale seminagione di bene! Allora Gesù mostrerà la Sua compassione: verrà in soccorso vostro, come venne a consolare i discepoli di Emmaus. Siamo tutti le pecorelle del Pastore buono. Ed Egli - l'ha detto Lui - è sempre pronto a dare la vita per le Sue pecorelle.
"Bisognava che Cristo patisse". Bisogna che le membra del Corpo misterioso di Cristo, vivo oggi sulla terra, continuino il Suo soffrire. Ma quando si soffre con la consapevolezza di soffrire con Lui la pena - anche se non si trasforma in gioia - diventa almeno sopportabile, leggera. Nessuno ha sofferto accanto al Signore come la Madonna, e noi, nel ricordo, cantiamo tutti gli anni lo "Stabat Mater": "Sta la Madre, dolorante, ttra le lagrime accanto alla Croce, su cui è appeso il Figlio". Ma nessuno ha potuto avere gioia più grande di Lei nel vederlo risorto: e noi tutti i giorni in questo tempo pasquale, cercando di condividere la Sua letizia, ripetiamo il "Regina coeli, laetare, alleluja": "Regina del cielo rallegrati, poiché Colui, che hai meritato di portare, è davvero risorto come aveva predetto".
"Era necessario che Cristo patisse". Ma voi non dovete credere, amici miei, che questi discorsi si possano fare solo quando si sta bene, e si dimentica che per ognuno c'è il declinare della salute e della vita.
Pochi giorni fa leggevo: "La prima penitenza imposta da Dio all'umanità è il lavoro e la sofferenza." Gli ammalati che fanno capo al "Centro volontari della sofferenza" sono in Italia quindicimila. Vogliono questi rendere utile il loro dolore, unendolo all'infinito dolore redentivo di Cristo Crocifisso. Una giovane di ventisette anni, con la corteccia cerebrale che va in disfacimento e paralizzata agli arti inferiori, scriveva così: "Allinizio dell'Anno Mariano qui in ospedale ho avuto una ricaduta più forte della prima. Tutto ho deposto nelle materne mani della Mamma celeste; e in Essa e per Essa ho trovato tanta serenità, tanta forza, nulla chiedendo, nella sola speranza di essere sempre più generosa. So che un giorno la mia infermità peggiorerà. Ma sono contenta lo stesso. So che, vivendo in grazia, anche allora continuerò - solo col mio soffrire - a lavorare per l'Immacolata".
Questa giovane così fedele e così coraggiosa scriveva: "Mi prometta, Padre, che, anche se perderò la mia mente, Ella dirà per me alla Madonna che sono contenta di essere così, e dirà per me il mio Magnificat."
Amici miei, vi benedico con tutto il cuore paterno e fraterno, e con voi e per voi continuo a pregare.
[continua]
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