A proposito di Claude Monet

              

Monet pranzava a casa mia. Eravamo seduti entrambi nel salone - e vi erano, per terra, allineati, una dozzina di quadri, gli uni dietro gli altri e tutti rivolti verso il muro. Ho sempre avuto dei quadri sistemati così a casa mia - in attesa di trovar loro una collocazione.
Monet mi ha chiesto cosa fossero quei quadri e, uno ad uno, glieli ho mostrati. C'erano tra gli altri due Bonnard, tre Vuillard, un Roussel ed un Pissarro. Ad ogni tela, Monet esprimeva la sua impressione. Diceva:
- Affascinante... Questo mi piace ancor di ppiù... Ecco il più bello di tutti...
Ora, tra quei quadri, era finita anche una piccola tela che avevo fatto - per divertirmi - e che rappresentava dei rami di pruno in un vaso cinese. Non l'avevo certo firmata! Voltai il quadretto - e glielo mostrai senza dire nulla. Allora aggrottò le sopracciglia, si curvò verso la cosa e disse:
- Che cos'è questo?
E ripeteva:
- Che cos'è questo? No, ma, che cos'è?... Chhe cosa vuole dire?... Che cosa significa?... Non è serio?... Non è una cosa seria, andiamo, chi ha fatto questa roba?
Risposi:
- Sono io...
Monet divenne estremamente grave e mi disse, col tono più serio del mondo:
- Ah ! Sacha, non mi piace quello che mi aveete appena fatto... Vi ho forse causato un dispiacere... Mi avete obbligato a darvi la mia opinione su una vostra opera - ed è veramente una brutta azione, la vostra: mi avete preso a tradimento.
E vidi che Monet era sinceramente desolato. Tentai di spiegargli che non davo alcuna importanza alla mia pittura - mi interruppe:
- Voi, sarà anche possibile, ma io non scherrzo col lavoro.
Dopo un'ora non se n'era ancora rimesso.
E' per questa ragione, è per cancellare il dispiacere che pensava di avermi causato, che accettò di posare per me ed ho dunque fatto il suo ritratto. E' un quadro molto grande. Vi è Monet con la sua tavolozza ed il suo pennello. Mi guarda. E' in un angolo del quadro - e tutto il resto del quadro è come un'immensa tela bianca, come se Monet stesse per cominciare un capolavoro...
Quando arrivavamo a casa di Monet, Mirbeau ed io, lo trovavamo generalmente al lavoro, all'aperto - era l'epoca delle ninfee. Bussavamo al quaadro della tela. Chiedeva:
- Chi è?
- Mirbeau, Sacha.
- Allora, entrate.
Sono uno dei pochi che lo abbiano visto lavorare. E quando l'ho cinematografato, non ha smesso un istante di essere infuriato... (...)

Un giorno Monet mi ha raccontato:
- Van Gogh ha fatto un magnifico ritratto dii papà Tanguy. Papà Tanguy era un negoziante di colori, rue des Martyrs. Il suo negozio era minuscolo e la sua vetrina così piccola che non si poteva esporvi che un quadro alla volta. E' lì che abbiamo cominciato, ognuno di noi, ad esporre le nostre tele. Il lunedì, Sisley, il martedì, Renoir, il mercoledì, Pissarro, io il giovedì, il venerdì, Bazille, ed il sabato Jongkind. Ed è dunque così che ciascuno a turno trascorrevamo una giornata nel negozio di papà Tanguy.
Un giovedì, mentre chiacchieravo con lui sulla soglia, mi indicò un uomo vecchio e piccolo, con la barba bianca, aspetto importante, cappello alto, discendeva la strada a piccoli passi. Era Daumier - che non avevo mai visto. Lo ammiravo appassionatamente ed il mio cuore batteva forte all'idea che si sarebbe forse fermato davanti al mio quadro. Prudentemente, ci ritirammo nel negozio, Tanguy ed io, e, attraverso le tende di lustrini che avevo scostato leggermente, spiavo quel grand'uomo. Si fermò, esaminò la mia tela, fece una smorfia, alzò una spalla - e se n'andò.
Quando finì di raccontare, Claude Monet mi guardò fissamente e, con un'aria grave mi confidò:
- E' stato il più grande dispiacere della miia vita.
(...)
Sacha Guitry, Portraits et anecdotes.

1