Il linguaggio simbolico


I simboli nell'opera d'arte: Cartier Bresson

È nato nel 1908 a Chanteloup, Seine-et-Marne.Le sue prime fotografie risalgono al 1931 e già l'anno sucessivo, le sue opere, vengono esposte alla Gallerie Juolien Lavy di New York.
Studiando con Paul Strand si accosta al cinema e giunge ad assistere Jean Renoir in un suo film. Il periodo bellico lo vede impegnato all'interno di un movimento che aiuta i prigionieri ed evasi politici. Ma la passione per la fotografia lo spinge ad associarsi ad un gruppo di professionisti impegnati nel fotografare l'occupazione e la liberazione della Francia.
Nel 1947 fonda, assieme a Robert Capa, Davis Seymour (Chim) e George Redger l'agenzia Magnum. Nei quasi venti anni successivi gira praticamente tutto il mondo raccogliendo una straordinaria quantità di immagini. Nel 1966 lascia l'agenzia e da quel momento l'attività fotografica si riduce drasticamente. Dal '73 si accupa di disegno e della diffusione delle sue opere.
Il suo punto di vista sulla fotografia è lucido, umano e intimamente vissuto e fa di questo autore uno dei più grandi fotografi della storia di questo mezzo espressivo.
 

 Henry Cartier Bresson afferma:

La fotografia non è cambiata dalle sue origini, eccetto che negli aspetti tecnici, che per me non rivestono particolare interesse.
La fotografia sembra essere un'attività facile; infatti è un processo vario ed ambiguo, nel quale l'unico comune denominatore dei praticanti è lo strumento. Quel che emerge da questa macchina che registra la realtà non sfugge alle costruzioni economiche di mondo di sprechi, di tensioni che diventano sempre più intense.
Per me la macchina è un quaderno per gli schizzi, uno strumento d'intuizione e spontaneità, il padrone dell'istante che, in termini visivi, si interroga e decide simultaneamente. Al fine di "dare un significato" al mondo, uno deve sentirsi coinvolto in ciò che inquadra nel mirino. Questa attitudine richiede concentrazione, disciplina mentale e senso geometrico. E' attraverso una grande economicità di mezzi che si arriva alla semplicità di espressione.
Si devono fare fotografie con il più grande rispetto per il soggetto e per se stessi. Fare fotografia è trattenere il respiro quando tutte le facoltà convergono di fronte alla realtà che fugge. E' in quel momento che eseguire alla perfezione un'immagine diventa una grande gioia fisica ed intellettuale. Fare fotografie significa riconoscere, simultaneamente ed in una frazione di secondo, sia il fatto in se stesso che la rigorosa organizzazione delle forme percepite visivamente, che danno al fatto il suo significato.
E' mettere la testa, l'occhio e il cuore sulla stessa linea di mira.
Per quanto mi riguarda, fare fotografie è un mezzo di comprensione che non puù essere separato dagli altri mezzi di espressione visiva. E' un modo di urlare, di liberarsi, non di provare o affermare la propria originalità.
E' un modo di vivere.


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