Henry Cartier Bresson afferma:
La fotografia non è cambiata dalle sue origini, eccetto che
negli aspetti tecnici, che per me non rivestono particolare interesse.
La fotografia sembra essere un'attività facile; infatti è
un processo vario ed ambiguo, nel quale l'unico comune denominatore dei
praticanti è lo strumento. Quel che emerge da questa macchina che
registra la realtà non sfugge alle costruzioni economiche di mondo
di sprechi, di tensioni che diventano sempre più intense.
Per me la macchina è un quaderno per gli schizzi, uno strumento
d'intuizione e spontaneità, il padrone dell'istante che, in termini
visivi, si interroga e decide simultaneamente. Al fine di "dare un significato"
al mondo, uno deve sentirsi coinvolto in ciò che inquadra nel mirino.
Questa attitudine richiede concentrazione, disciplina mentale e senso geometrico.
E' attraverso una grande economicità di mezzi che si arriva alla
semplicità di espressione.
Si devono fare fotografie con il più grande rispetto per
il soggetto e per se stessi. Fare fotografia è trattenere il respiro
quando tutte le facoltà convergono di fronte alla realtà
che fugge. E' in quel momento che eseguire alla perfezione un'immagine
diventa una grande gioia fisica ed intellettuale. Fare fotografie significa
riconoscere, simultaneamente ed in una frazione di secondo, sia il fatto
in se stesso che la rigorosa organizzazione delle forme percepite visivamente,
che danno al fatto il suo significato.
E' mettere la testa, l'occhio e il cuore sulla stessa linea di mira.
Per quanto mi riguarda, fare fotografie è un mezzo di comprensione
che non puù essere separato dagli altri mezzi di espressione visiva.
E' un modo di urlare, di liberarsi, non di provare o affermare la propria
originalità.
E' un modo di vivere.