La Partnership con il Cliente
Il Cliente degli anni novanta si sta continuamente evolvendo verso livelli di complessità sempre più elevati, rendendo ancora più arduo lo sviluppo di prodotti adeguati alle sue esigenze.
All'interno di questo scenario, l'agire di consumo ha assunto nuove valenze, diventando un sistema di comunicazione per la trasmissione e scambio di messaggi, dove la merce è il suo veicolo principale. I messaggi che essa veicola sono degli insiemi strutturati e complessi di segni che presentano al loro interno molteplici livelli di significazione, spesso distinti dalla realtà fisica della merce ma coerenti con gli altri significati veicolati dalle altre merci. Il consumo diviene possibilità di trasmissione di significati e la merce sviluppa così un proprio sistema semiotico in continua trasmissione. Si può così capire come l'agire di consumo diviene una situazione specifica che ha in sé i vincoli della storia individuale del singolo e quella particolare di quel consumo, ed è collocata nella stratificazione sociale. La scelta tra le alternative non può prescindere da queste variabili.
Cosa deve fare il Marketing per soddisfare questo particolare consumatore? Abbiamo già introdotto la posizione di Vincent Barabba (Listen, Learn e Lead) a cui fa eco Frederick Webster jr. (1995) che evidenzia la necessità del passaggio dal Make and Sell al Sense and Respond. Il messaggio è chiaro: bisogna ascoltare il cliente per sviluppare il prodotto adeguato. I parametri guida provengono dalla Customer value hierarchy che definisce l'importanza degli attributi di un prodotto o servizio in funzione del valore ad essi attribuito dalla clientela. Con tale gerarchia il cliente definisce la composizione del prodotto per lui ideale e su questa base, comparando gli elementi differenziali percepiti, analizza le alternative esistenti sul mercato apprezzandone in modo più o meno approfondito il rapporto qualità-prezzo e formalizzando definite aspettative brand-specific. Partendo da questi dati l'azienda può "definire la combinazione degli attributi tangibili o intangibili (Customer value package) che deve caratterizzare l'offerta dell'impresa per massimizzare la percezione di soddisfazione della sua clientela" (Busacca e Valdani,1995). L'azienda deve quindi arrivare a cogliere la specificità ricercata dal consumatore che poi verrà soddisfatta dal proprio prodotto. Si tratta di una microsegmentazione che filtra al meglio il target e che indirizza il posizionamento. Il problema nasce dai continui cambiamenti da parte dei consumatori e dalla difficoltà di coglierli in tempo. Solo l'azienda proattiva, che riesce ad anticipare queste variazioni, può imporsi. Ciò è possibile solo se l'azienda è disposta ad osservare ed ascoltare il proprio cliente. Un grande aiuto viene dalla tecnologia che permette di accumulare grandi quantità di informazioni sulle esigenze e sulle preferenze dei singoli clienti. Pepper, Pine e Rogers (1995) propongono la Learning Relationship:
"Un rapporto continuativo tra chi propone o vende un bene o servizio e chi lo acquista o potrebbe acquistarlo. Tale rapporto permette al fornitore di acquisire e accrescere nel tempo il maggior numero possibile di informazioni dettagliate relative alle esigenze e ai gusti del singolo cliente, seguendone inoltre le evoluzioni e i cambiamenti, allo scopo di personalizzare al massimo la propria offerta. Un legame duraturo che diviene ancora più efficace se i due interagiscono l'uno con l'altro, collaborando per soddisfare le esigenze del cliente nel corso del tempo"
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L'azienda ha sempre le informazioni necessarie per adeguare il prodotto al cliente. Una soluzione che viene già applicata in diversi campi. E' il caso della catena alberghiera Ritz-Carlton che ha una banca dati dove confluiscono tutte le segnalazioni del personale sulle preferenze dei clienti in modo tale da poterne anticipare le richieste. Quando ci si sposta in un campo più ampio, come quello dei beni di consumo, ci si può chiedere come arrivare a tale corrispondenza. I tre autori americani evidenziano come la personalizzazione di massa (Mass Customization) sia possibile "creando moduli, componenti e processi che possono essere assemblati in svariati modi per consentire la realizzazione su misura di prodotti o servizi per clienti specifici ad un costo relativamente basso". In questo modo si renderebbe necessario non tanto un Product Manager ma bensì un Customer Manager che possa affrontare le esigenze di ogni singolo cliente, producendo il prodotto che lui richiede.
L'azienda deve lavorare sempre di più sul singolo cliente, personalizzando l'offerta in modo da soddisfare le esigenze che, in quello specifico momento, esso esprime. Il prodotto perde la sua natura standard per potersi adeguare alla volontà del consumatore. Inseguire il cliente nella sua specificità significa coglierlo nella sua soggettività, una parola non molto amata in campo psicologico, essendo un tema rischioso per quanto riguarda quella scientificità ricercata dalla psicologia accademica. La cosiddetta psicologica applicata ha dovuto supplire a queste mancanze, andando a confrontarsi con la quotidianità dell'uomo-consumatore, studiando la sua specificità per fornire al Marketing quelle informazioni funzionali allo sviluppo di un prodotto e di una comunicazione adeguata al potenziale cliente. La psicologia, però, non deve essere l'unica nello studio della soggettività perché quest'ultima non va confusa con alcunché di inconscio o filogenetico, ma anzi va analizzata cogliendo la portata dei condizionamenti esterni, consapevoli o meno, che quotidianamente l'individuo subisce. Da quelli di ampia portata, come possono essere le manovre finanziarie, a quelli di carattere locale derivanti dai gruppi di riferimento e dai ruoli che il singolo assume nelle diverse situazioni.
I continui monitoraggi sui comportamenti di consumo evidenziano cambiamenti repentini nella vita quotidiana dei target oggetto di studio, dimostrando che la soggettività non è un'istanza statica. Rubini (1995) parla di Working Self, il sé dinamico in continua evoluzione che sfugge a qualsiasi lettura definitiva.
Secondo Codeluppi (1992), l'eclettismo rappresenta il Macrotrend che racchiude tutti i contrapposti trend di consumo. Le scelte sono variabili ed occasionali: il consumatore mescola prodotti generici e di marca, prodotti ordinari e di lusso. Il tutto si armonizza all'interno del percorso personale del singolo individuo, non essendoci punti di riferimento stabili si seguiranno i desideri del momento. Il consumatore sta diventando sempre più laico, imprevedibile ed infedele nella scelta delle marche e dei prodotti. Lo studio Sinottica del 1995 sui "nuovi orientamenti di acquisto e di consumo degli italiani", coglie sette specifiche modalità di consumo, tra le quali evidenzia le due tendenze più importanti: i Razionali e i Distaccati. Se da parte dei primi vi è una grande attenzione all'informazione relativa ai prodotti e alle sue caratteristiche (prezzo, ingredienti), i secondi se ne disinteressano. Ne derivano due impostazioni divergenti: i razionali colgono le differenze tra le diverse marche dello stesso tipo di prodotto, scegliendo la più conveniente in base al rapporto qualità-prezzo. I distaccati ritengono inesistenti le differenze e passano da un prodotto (o marca o negozio) all'altro con grande felicità. Se per i distaccati la spesa è una perdita di tempo (la vita è altrove), i razionali ritengo necessario usare il "prezioso" tempo per fare i giusti acquisti.
"Più razionale ma anche più distaccato, più interattivo ma anche più menefreghista, più desideroso di "andare a vedere" ma anche più consapevole dell'esistenza di una "banca tempo" da mettere a frutto. Due atteggiamenti apparentemente incompatibili ma destinati a coesistere e ad integrarsi" (Minoia, 1995).
Considerando i target più interessanti, possiamo citare gli Anziani ma non troppo e la cosiddetta Generation X. Per quanto riguarda i primi, il cocktail declino della nascita-incremento della longevità sta generando un fenomeno imponente: con l'inizio del prossimo decennio, un italiano su quattro avrà oltre sessanta anni. Ma si potrà continuare a chiamarli anziani? La tendenza è quella di elevare progressivamente la soglia anagrafica di ingresso nella comunità dei Senior Citizens. Il vecchio, ormai, è l'ottantenne, il simpatico vecchietto che fa parte della quarta età. Mentre la cosiddetta terza età viene intesa, sempre più spesso, come una sorta di prolungamento dell'età adulta (Fabris,1995).
Ne deriva la necessità di abbandonare gli stereotipi che identificavano l'anziano con una persona malferma di salute, in genere poco o per niente abbiente e per di più fortemente orientata al risparmio, di limitati interessi, poco scolarizzata, depositaria dei valori più tradizionali. Le ricerche forniscono un nuovo quadro. Una recente indagine (Fabris,1995) ha messo in evidenza l'esistenza di quattro segmenti della popolazione anziana. Di questi uno soltanto, gli emarginati coincide con i tradizionali luoghi comuni. Dei residui segmenti, due (i vecchi attivi e i non vecchi) sono difficilmente distinguibili, per interessi e stili di vita, dai segmenti più giovani della popolazione. I primi si differenziano perché la loro attività perché la loro attività è in qualche modo condizionata dagli acciacchi dell'età, mentre i non vecchi sono, in tutto e per tutto, omologabili alla popolazione adulta. Il quarto segmento, i ritirati è composta da individui che vivono con serenità il loro status: contenti dei piccoli privilegi che vengono riconosciuti all'età anziana, affermano di volersi godere il meritato riposo della pensione.
Il cambiamento più interessante riguarda la percezione della condizione anziana. Gli anni che seguono l'uscita dal mercato del lavoro cominciano a configurarsi, per una parte ancora minoritaria ma in crescita, come gli anni dell'opportunità. La previsione è di un lungo periodo della vita in cui potersi dedicare a tutti quegli interessi che i precedenti impegni lavorativi e familiari hanno ostacolato. Il livello del reddito è spesso più che sufficiente per praticare gran parte delle nuove opportunità. Il tempo (la risorsa scarsa con cui si erano dovuti costantemente confrontare) si dilata a dismisura. Il livello di istruzione è sovente elevato. Anche gli stili di vita praticati nelle altre età della vita condizionano profondamente il nuovo status. Il sistema dei valori del nuovo anziano non è inoltre, come nel passato, sempre sinonimo di tradizione. La inedita, elevata propensione al consumo, unita a un reddito sufficiente, influenza importanti settori del consumo.
La Generation X è composta dai nati tra il 1965 e il 1974, con istruzione elevata ma sottoccupati da un punto di vista lavorativo, vivono ancora con i genitori dai quali ottengono i soldi per i loro acquisti. Questa sintetica carta d'identità riguarda quasi dieci milioni (9.255 milioni nel 1994, Espansione 1995) di "giovani" che fino a pochi anni fa le aziende snobbavano. Gli anni novanta li hanno portati alla ribalta per i loro comportamenti spesso contraddittori (volontariato ma non politica, individualisti ma sempre alla ricerca di amicizie). Secondo Marco Abis, amministratore unico dell'Istituto di ricerca Makno (intervistato da Espansione, 1995), "i giovani si sentono persi in questo periodo di cambiamento sociale, e non riescono ad uscire da una situazione di impasse. Che li mette in crisi sul fronte del lavoro, dove difficilmente trovano un occupazione soddisfacente". Ne consegue un ritardo dell'uscita dal nucleo familiare che non viene affrettato dai genitori (come accadeva qualche decennio prima).
"E' la prima generazione -evidenzia Enrico Finzi su Espansione,1995- che fin dalla nascita è vissuta nell'era dei consumi di massa qualificati. Con l'eccezione di poche e minoritarie sacche di povertà, hanno trovato in casa un patrimonio di beni durevoli ricco di cucine superattrezzate, uno o due televisori, hi-fi e così via. Il tutto nell'ambito di famiglie tolleranti".
Vista questa dipendenza (economica-affettiva) dai genitori perché occuparsi di loro? Risponde (su Espansione,1995) Fabrizio Caprara, direttore generale della Saatchi & Saatchi Italia di Milano, "I motivi che hanno spinto il Marketing a trascurare questa fascia di età sono sicuramente comprensibili. Di fronte alla apparente passività degli ultraventenni si è tentati di lasciarli nel loro limbo. Ma questo è un errore: le ricerche non possono presentare una zona oscura che comprende in Italia quasi dieci milioni di individui. Destinati, bene o male, a diventare, non fosse che per motivi anagrafici, la classe dirigente del 2000. Ecco perché la Saatchi & Saatchi ha promosso lo studio x Generation".
Si può aggiungere che questi "ragazzi" hanno, all'interno della famiglia, un peso notevole nelle decisioni di acquisto di beni durevoli. Altro importante aspetto, hanno, anche se limitata, una loro possibilità di spesa.
La ricerca Saatchi evidenzia che si tratta di una tipica generazione di mezzo, schiacciati dai baby boomer, nati nel decennio precedente da cui erano usciti gli yuppie degli anni ottanta, e la next Generation, i terribili ragazzini di oggi. I rappresentanti della x Generation sono individualisti, in quanto delusi da questa società che vivono come cattiva. Per questo si rinchiudono in se stessi, diventando cinici e materialisti. Ma al tempo stesso, a conferma della loro contraddittorietà, sono tolleranti. E vengono definiti anche frammentati, nel senso che non hanno linee precise di comportamento.
"Si può affermare genericamente -sostiene Caprara- che sono consumatori attenti, critici. Non per questo rifiutano le marche. (...) Mostrano anzi di apprezzare i prodotti delle aziende famose, in cui però non ricercano status ma affidabilità. (...) E amano la pubblicità che preferiscono ad ogni altro programma televisivo".
Similmente alla Gialappa's Band (autori, invisibili ma comunicanti via audio, di Mai dire Gol, vero cult-show televisivo di questa generazione), i ragazzi vogliono comunicare ma non in prima persona. Preferiscono celarsi dietro rassicuranti maschere, quali quelle che offrono gli stessi personaggi di Mai dire Gol o la stessa pubblicità, sapendo di essere accettati più facilmente dagli altri senza mettere in gioco il proprio Ego, sempre più chiuso in se stesso nell'affrontare quei problemi (anzitutto il lavoro che dovrebbe permettergli di uscire da questa terza infanzia di comodo) che si stanno avvicinando velocemente e che alla fine dovranno essere risolti.
L'altro importante veicolo di comunicazione è la merce. Anzitutto l'abbigliamento ma anche l'automobile. Se non tutti possono acquistarla per se, diventano importanti "opinionisti" nell'acquisto dell'auto per la famiglia. La situazione si complica per le case automobilistiche che devono riuscire ad interagire con i genitore che si avvicina all'auto con parametri spesso opposti a quelli del figlio. Il segmento che si rivolge principalmente ai giovani è quello delle utilitarie (segmento B), di fatti la maggior parte dei protagonisti degli spot di queste auto appartengono alla Generation X. (A tale proposito si veda la campagna pubblicitaria dell'autunno 96 della Volkswagen Polo "X" che vede protagonisti i genitori che regalano l'auto al figlio, emblema della generazione x)
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