7. Cesare e Clelia
Cesare aveva visto crescere Clelia e non le aveva mai
dedicato grande attenzione. Si era accorto di lei soltanto quando la
ragazza aveva compiuto i sedici anni. Clelia, diventata donna nello
spazio di un mattino, sorprese Cesare che un giorno, alla fine della
Messa, se la ritrovò davanti femmina ormai matura.
Clelia era una ragazza mora non molto alta, ma aveva un
corpo splendido, che sembrava esser stato creato dalla mano felice di
uno scultore. I folti capelli neri, a boccoli, incorniciavano un viso
da madonna.
In paese si faceva vedere poco perché il padre
gelosamente la teneva lontano dai ragazzi che avevano abbracciato il
regime fascista e che lui bollava col termine di "oppressori
prezzolati", e dai pochi che non avevano identità politica e che
lui definiva "smidollati". Sicché ogni sua apparizione
scatenava la curiosità degli uomini, che la guardavano ammirati, e
delle donne, che trovavano sempre l'occasione per fare qualche
chiacchiera su di lei. Ma Clelia, con il suo modo di fare semplice e
misurato, riusciva gradevole a chiunque avesse avuto modo di
avvicinarla ed intratteneva tutti con grande rispetto, senza mai darsi
arie per la posizione benestante che la sua famiglia occupava.
Da sempre amava Cesare, il suo amore di ragazzina
diventato poi col tempo un vero amore. Passarono ancora un paio d'anni
prima che lui si interessasse a quella ragazza dall'aria sbarazzina,
semplice ed anche un po' impudente. Poi, quando ella raggiunse i
diciott'anni, Cesare ne chiese la mano al padre, Carlo Colletti.
Questi fu lieto del fatto, anche se vent'anni separavano i due, perchè
conosceva molto bene Cesare e ne condivideva le idee politiche. A
guerra conclusa Clelia sarebbe diventata la sua sposa.
A Cesare piaceva andarla a prendere quando usciva di
chiesa. Anche in quel caldo giorno di maggio, dal fondo della piazza
del paese, aspettò pazientemente che la funzione religiosa
terminasse. Quando l'orologio della piazza portò le sue lancette
sulle ore dodici, Cesare si avvicinò al sagrato. Lo squillare delle
campane segnalò la fine della Santa Messa e la gente con calma
cominciò a defluire dalla chiesa.
Clelia apparve quasi per ultima. I suoi occhi cercarono il bel Cesare:
lo vide venirle incontro con la sua solita aria assorta e malandrina e
un brivido di felicità, come un leggero soffio di tramontana, la
solleticò. Cesare era bello come un dio greco: a lei piacevano i suoi
capelli neri e riccioluti, il segno della barba scura anche quando era
rasata, i baffetti alla Clark Cable. Amava i suoi completi di velluto
scuro e l'aria sempre un po' accigliata e ribelle. Lo adorava quando
suonava il pianoforte.
La prima volta che lo ascoltò, lui le dedicò la
Rapsodia N.2 di Liszt, un pezzo per orchestra che interpretava al
pianoforte in maniera magistrale.
Clelia era rimasta affascinata dalle sue mani che
correvano veloci, ma composte, sulla tastiera impedendo che le note,
come tanti ragazzini impertinenti, scivolassero giù dal
pentagramma e finissero col disperdersi nel nulla. Aveva osservato
stupita l'uomo che, come un prestigiatore indemoniato, correva di qua
e di là nel disperato tentativo di non lasciarne cadere alcuna. E
aveva visto, con sua grande meraviglia, che riusciva a raccoglierle
tutte. Anche se alla fine, per lo sforzo sostenuto, lui si era tutto
bagnato di sudore.
Clelia ricordava perfettamente le eccitanti sensazioni
che quel brano le aveva suscitato. Le brusche accelerazioni e le
altrettanto brusche frenate della musica le avevano impedito di
rimanere ferma sulla sedia, al pari di Cesare e del suo ricciolo nero.
Al termine dell'esecuzione, si era sentita così carica di energia che
avrebbe voluto correre a perdifiato sui sentieri tortuosi dei boschi e
aveva sognato di essere inseguita da un Cesare smanioso di prenderla e
di alzarle la gonna.
Stregata dalla forte personalità di quell'uomo che
parlava di libertà con la stessa passione con cui parlava di musica,
sognava di vivere, al termine della guerra, stretta fra le sue braccia
robuste: traspariva una tale forza e grandezza d'animo dai suoi
discorsi che vivergli accanto le sembrava la cosa più bella ed
elettrizzante del mondo.
Per molti aspetti Cesare era simile a suo padre Carlo,
che non aveva mai temuto di manifestare le sue idee antifasciste e
che, proprio per questo, non era ben visto dalle autorità locali, che
lo sospettavano oltre tutto di dare aiuto ai partigiani.
"Ciao Clelia. Sei sempre l'ultima ad uscire dalla
Chiesa."
"Mi dispiace, ma avevo una grazia speciale da
chiedere alla Madonna."
"Se devi ricorrere alla Madonna, vuol dire che le
tue armi sono spuntate."
"Forse." Rispose Clelia fissando con occhi
maliziosi l'uomo.
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