Il libro può essere acquistato online presso
Alla Home Page di Bruno Tognolini
Piene di cosa?... Di TOPI?... Questi sono i primi due capitoli del libro.
A fine estate 2006 ho proposto alla Fatatrac una riscrittura letteraria di un mio testo teatrale per bambini, tratto dal poema "L'accalappiatopi" di Marina Cvetaeva, e messo in scena da "La Corte Ospitale di Rubiera" alla fine del 2003. Lo spettacolo aveva fatto la sua vita, girando in tourneé per diversi anni; lo scorso anno un cambio societario della Corte Ospitale, e il conseguente allontanamento di Franco Brambilla, il regista con cui avevo lavorato, mi ha convinto a non rinnovare alla nuova compagnia il permesso di rappresentazione.
Lo spettacolo quindi, almeno per ora, è fuori circuito. E a me dispiaceva che il profluvio di versi (ottave e filastrocche e rap) scritti per emulare quelli della poetessa russa, che i traduttori assicuravano essere scatenati e zampillanti, andasse perduto; e che perduta andasse la bella storia che era scaturita dalla necessità di contrastare la vicenda dal finale crudelissimo narrata dalla Cvetaeva.
Ne ho fatto un libro. I versi son rimasti tali e quali. L'introduzione di una voce narrante ha operato la magia di trasformare il "teatrale" in "letterario", coprendo i vuoti delle didascalie e delle azioni. L'aggiunta di una sorta di epilogo didascalico, dove si racconta delle molte versioni di questa "storia vera", e del significato che può avere narrare e rinarrare una storia "importante" per gli uomini, completa il libro.
Che è piaciuto all'editore, ed eccolo qua.
Qui una breve NOTA DI PRESENTAZIONE del libro al Premio Penne, nell'ottobre del 2007.
Qui una preziosa SCHEDA DELLE FONTI, un excursus su altri modi in cui la leggenda di Hamelin è stata narrata in altri tempi. Questi materiali sono parte della documentazione personale che ho raccolto per scrivere il libro, e sono messi a disposizione di insegnanti e classi che vogliano fare un lavoro di ricerca e lettura approfondita.
Qui, per chi fosse interessato alla genesi teatrale di quest'opera, il TESTO DELLO SPETTACOLO e le mie NOTE DRAMMATURGICHE sulla fiaba originaria, sulla versione della Cvetaeva, sulla mia versione e sulla versione scenica di Franco Brambilla.
E qui sotto, infine, la scheda tratta dalla quarta di copertina del libro e il solito assaggio del testo.
Come andò a finire veramente la storia del Pifferaio di Hamelin
Ci sono storie che pare conoscano tutti, e che nonostante questo sono lette e rilette e scritte e riscritte nel tempo. La leggenda del Pifferaio di Hamelin è una di queste. Tognolini ce la racconta in prosa e in rima, abbastanza fedele per un tratto, coi suoi versi di filastrocca, ottava e rap, al racconto in versi russi indiavolati che ne diede una poetessa di nome Marina Cvetaeva. Ma a un certo punto il racconto di Tognolini si distacca, come un fiume che vuole fare un'altra via. Non può accettare lo scrittore, e noi con lui, che quei bambini vengano guidati dal Pifferaio a morire nel fiume; e che la figlia del Borgomastro se ne stia lì a sognare alla finestra. Allora annodiamo questi due fili, tiriamo e vediamo come finisce. Finisce che una maestrina si ritrova a correre verso lo stagno, e correre forte, perché la posta stavolta è la morte...
Gli storici dicono che ad Hamelin, in quel lontano 26 giugno del 1284, accadde realmente qualcosa di grave: centotrenta bambini della città scomparvero e non fecero mai ritorno. Gli scrittori continuarono nei secoli a narrare quella storia, per cercare di capirla meglio. Eccone un'altra versione scintillante, musicale, poetica, e piena di spunti che sembrano scritti per oggi.
I primi due capitoli dal libro
La città
Nel giugno del lontano 1284, sulle rive del fiume Weser, in Germania, la ricca e ridente cittadina di Hamelin si svegliava da una dolce notte estiva.
I galli cantavano il loro kekkereké tedesco e burbanzoso, le allodole fischiettavano furbette frullando per il cielo, le oche gorgogliavano satolle il loro primo ingozzo del mattino, e le mamme preparavano le prime fumanti salsicce per i mariti e i figli che andavano a scuola e al lavoro.
Si svegliava... forse non è esatto usare questa parola, per quella città. Stando a ciò che hanno narrato di lei poeti e suonatori, infatti, era un borgo stordito e sonnolento, appesantito dal lavoro, dal decoro, dal profitto, dal cibo e dal buonissimo appetito.
Ma guardatela, guardatela voi stessi.
Eccola Hamelin, città famosa
della mirabile terra tedesca,
città di gente seria e dignitosa,
lavoratrice, prosperosa e onesta;
che dà il suo posto ad ogni giusta cosa,
e mai dal giusto posto nulla esca!
Che nulla cambi e nulla turbi al mondo
la palude del suo sonno profondo.
Eh sì, quella città dormiva! Dormiva nell'anima! Pensate: la notte in cui passò la famosa cometa di quel lontano 1284, quella città dormì come un sasso.
"Cosa sarà mai una cometa!", dicevano i suoi bravi cittadini, "Non merita due ore di riposo. E poi guadare il cielo fa venire le vertigini, e l'indomani ti resta il capogiro!"
"Spegni la luce, Birghitta, chiudi le imposte!"
Spegni la luce e chiudi le finestre,
che la notte non soffi dentro il buio,
che non si sentano le strane orchestre
di quel suo cielo nero calamaio.
La nostra vita è semplice, terrestre:
si compra ogni mattina al bottegaio,
e poi a forza di viverla s'impara:
la vita ad Hamelin non costa cara.
Costano poco i giorni, come il pane.
Costano come il latte i mesi e gli anni.
Le ore trascorrono con le campane,
a buon prezzo, tranquille, senza affanni.
Nessuno pensa o dice cose strane,
la vita non fa male, non fa danni.
Qui soltanto una cosa è molto rara:
l'anima, quella sì che costa cara!
Ma che corpi, in compenso! Che corpi! Alti, forti, sani: gente di buona razza!
Educati, cordiali, cortesi!
Alla mattina:
- Buongiorno, Frau Herta! - Buongiorno, Frau Gerta!
- Buongiorno, Frau Hilda! - Buongiorno, Frau Gilda!
- Guten taaaaaaag!
E via tutti che vanno, a passettini indaffarati verso il giorno.
Città-consuma poco - città-compra per tempo
Città-non brucia fuoco - città-non tira vento
Città-niente ubriachi - città-niente ambulanti
Città-niente di dietro - città-niente davanti
E alla sera:
- Buonanotte, Herr Friedrich! - Buonanotte, Herr Franz!
- Buonanotte, Herr Dietrich! - Buonanotte, Herr Hans!
- Guten naaaaaacht!
E via, a passettini indaffarati verso casa.
Città-fa buio presto - città-lampioni accesi
Città-dopo il tramonto io non esco per sei mesi
Città-chiudi cancelli - città fuori i foresti!
Città dei giorni belli - città dei sogni onesti
Città-noia profonda - città-cielo di panna
È notte e la tua Ronda - ti fa la ninna nanna...
Sì, eccola! Un altro giorno operoso è trascorso, scende la notte sulla città di Hamelin e passa la Ronda. Sei guardie con la livrea del Borgomastro e le belle alabarde marciano facendo echeggiare i passi per le vuote vie, e lanciando di tanto intanto il loro bando.
Passa la Ronda con passo di gatti
Cittadini, entrate nei letti!
Passa la Ronda con passo di grilli
Cittadini, dormite tranquilli!
È notte, grazie a Dio. E grazie a noi tutto va bene!
Avete messo fuori il cane? Avete messo dentro il gatto?
Vi siete tappati le orecchie con l'ovatta?
Avete riposto nello scrigno il guadagno di oggi?
Padre chiudi la Bibbia! Madre infila la cuffia!
Bimbo, in bocca il ciuccio! Nonna, fuori la dentiera!
Dormite, cittadini! Domani è un altro giorno!
Passa la Ronda, nella piazza tonda
Passa la Ronda, nella notte scura
Passa e ripassa, torna e ritorna
Gente di Hamelin, dormi sicura!
Dorme la gente ad Hamelin, sicura
di tutto ciò che vede con lo sguardo.
Di ciò che non si vede non si cura,
si affida al sonno, che non è bugiardo.
Notti nerissime di pece pura.
Giorni bianchissimi, di puro lardo.
Il mondo è fermo e il sole gira intorno:
dormite, che domani è un altro giorno!
D'accordo, ma... e i sogni?
Si può dormire il più buio dei sonni - diceva un famoso collega - ma poi vengono i sogni! I sogni son fatti per portarci lontano da qui: lontano da ciò che siamo, da ciò che viviamo. Per farci incontrare, almeno in sogno, vite diverse, creature strane, posti mai visti.
E ad Hamelin, allora? Cosa mai sogneranno i suoi onesti e ordinati cittadini?
Be', se poteste gettare uno sguardo nei loro sogni, restereste sbalorditi: stesse case, stesse facce, stesse vite... Eh sì: gli abitanti di Hamelin vivono in sogno esattamente le stesse cose che vivono da svegli!
Lo sposo vede in sogno la sua sposa,
la sposa vede in sogno suo marito,
la maestra una classe silenziosa,
l'alunno vede un compito finito.
Sogna il fioraio un petalo di rosa,
la sarta i pantaloni che ha cucito.
E il cane, se gli accade di sognare,
che cosa sogna? L'osso? No, il collare!
Il panettiere vede rosso forno
ed il lattaio vede bianco latte,
per il giostraio il mondo gira intorno,
il sergente comanda, il fabbro batte.
Ognuno sogna le opere del giorno,
cose che deve fare e cose fatte.
Tutto tranquillo: è come essere sveglio,
se sogno quello che conosco meglio.
E allora proviamo a entrarci, in questi sogni.
Entriamo in punta di piedi, coi magici piedi del racconto, nella casa del Borgomastro di Hamelin, l'uomo potente che la comanda e amministra.
Eccolo lì, nella sua camera da letto, grosso, grasso, rubicondo, sdraiato accanto alla moglie grossa, grassa e rubiconda. E in due russano come tre orsi.
Che cosa sognerà il Borgomastro? Ve lo dico io: cittadini.
Cittadini sottomessi, obbedienti, entusiasti, applaudenti! Sudditi, insomma.
E cosa sognerà la Borgomastra? Cittadini? Oh no, sarebbe sconveniente... Cittadine!
E Greta, la loro figlia ragazza, la maestrina, che cosa sognerà?
EHI!... Non sogna!
Cosa fa lì affacciata alla finestra, sveglia a quest'ora? Dev'essere l'unica persona sveglia in tutta la città. Ma cosa sta facendo? Guarda... no, non è possibile: guarda la luna!
E le parla, anche! Sentite? Muove appena le labbra, dicendo così...
Luna, luna, luna!
Guardami, luna cattiva
Guardami piangere nella sfortuna
Dimmelo tu quando arriva
Quello che viene da fuori
Con la sua musica triste
Con le parole che rubano i cuori
Dimmelo che lui esiste
E che ci porterà via
Fuori da questa città
Dove non cresce nessuna poesia
Perché c'è troppa realtà
Luna, che tutto indovini
Dimmi che sarà così
Porterà me, coi miei bambini,
Molto lontano da qui!
Il mercato
KEKKEREKEEEEEEEE...
Cantò il gallo, dunque, in quella mattina di un'antica estate, mandando in cocci coi suoi gridi i sogni di piombo del Borgomastro e la veglia di piume di sua figlia Greta.
Tutte le brave donne del borgo, dopo aver dato da mangiare salsicce fumanti a figli e mariti, in testa il fazzoletto, al braccio la canestra, sciamavano gaie di casa, perché oggi era giornata di... Mercato!
L'intera via maestra è variopinta di banchi e banchetti, carri e carrette, casse e cassette.
Le massaie con le loro canestrine trottano come pecore vanitose al centro della via, mentre sui lati i bottegai come pastori le radunano, le spingono, le tirano, le chiamano con le trombe d'oro dei loro grandi gridi di mercato.
Lardo per il dottore! - Erbe per lo speziale!
Felicità e salute, con cotenne di maiale!
Venite! Sentite! - Patate garantite!
Prendetene un bel cesto che domani son finite!
Gamberi! Totani! - C'è il pescatore!
Tuberi! Asparagi! - C'è l'ortolano!
Guardate l'occhio vivo - Pescati da due ore!
Raccolti ora dall'albero - Toccate con la mano!
Trippa, salsiccia, la pappa con la ciccia!
I ravanelli rossi oppure l'insalata riccia!
Bluse di flanella! - Sì! - Tu sarai bella!
Scarpe di vernice! - Sì! - Sarai felice!
Cosa si dice? Cosa si dice?
Felici lo sono eccome, le belle signore, di radunarsi a capannello in due, in tre, in quattro, e fare finalmente quella cosa per cui hanno atteso e spasimato l'intera settimana: spettegolare!
- Si dice, si dice di... compleanni segreti!
- Chi? Chi? Chi?
- Oh, non fatemi parlare! Greta, la figlia del Borgomastro.
- Quanti anni? Quanti anni?
- No, bocca mia sta' chiusa! Ventotto.
- Ventotto! Non è possibile! Ti credo che non la festeggiano!
- Non si sposa! Non si sposa!
- Per forza: con quel capriccio di fare la maestrina di scuola...
- Chi se la prenderebbe, una maestra?
- Qui ad Hamelin, nessuno.
- Storia, geografia, mate... come si dice?... matemangica?
- Si dice matemagica, ignorante!
- Insomma, tutti grilli per la testa. A un ragazza non fanno bene i libri.
- E cosa fa bene alle ragazze, Berta?
- Mi vuoi far dire cose sconce, Gerta. Chiuditi, bocca mia!
A un certo punto fra due casse un guizzo, un frullo, uno squittìo, qualcosa...
- Ehi! Coz'era?
- Coz'era coza?
- Non hai zentito uno zsquittìo, lì, in mezzo alle zucche?
- Uno zquittìo? Le zucche non zquittiscono, zietta!
È la tua zucca che comincia a zcricchiolare!
- Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!...
Galline senza penne! - Susine senza buccia!
Il succo di banana con già dentro la cannuccia!
Donne - avanti - comprate la crescenza!
La prima prende tutto e la seconda resta senza!
Guardate queste pere - sono sincere!
Sono vere e sembran fatte con le cere!
Sentite che sapore, provatene uno spicchio!
La polpa è come burro: la buccia è per Pinocchio.
Cacio fresco di cantina, uova fresche di ghiacciaia!
Una due tre quattro... sette paia!
Pesci - di mare! - Mi voglio rovinare!
Ma dimmi - comare: vieni qui per comperare,
o porti qui la lingua per farla sventolare?
Cosa si dice? Cosa si dice?
- Si dice che c'è un fiore, qui in città, che alla notte non chiude la corolla.
- Non fatemi dire! Sempre lei, la maestrina?
- Ieri notte di nuovo alla finestra, a guardare la luna!
- La luna piena fa diventare pazzi.
- Oh, a questo ci hanno già pensato i libri.
- E i nostri bambini stanno a sentire una così!
- Cosa diventeranno, povere noi! Poeti! Mendicanti! Assassini!
- Calmati, Hilda, ci sta pensando il padre, per fortuna.
- Davvero, Gilda? E cosa le prepara, il Borgomastro?
- Bocca mia, non lo dire. Un abito da sposa, un poco di gioielli...
- ... e poi tutta la vita fra i fornelli! Ma chi è il pazzo?
- Aspetta, Greta, lasciami indovinare: il vecchio Franz?
- Gallina beccami se te lo dico! Proprio lui.
Ma ecco di nuovo quel guizzo fra le cassette di verdura.
- Ehi! Quezta volta l'ho proprio vizto!
- Vizto coza?
- Una zchiena nera e peloza, che guizzava in mezzo alle melanzane!
- In mezzo alle melanzane? Be', zietta, zarà ztata una melanzana coi capelli lunghi!
- Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!...
Comprate! Comprate! - Quintali di patate!
E se le avete a casa, be'... le conservate!
Donne! Ragazze! - Comprate a più non posso!
Se non avete i soldi, be'... segniamo in rosso!
Apri il borsellino, nonna, compra più che puoi!
Ciò che non riesci a prendere te lo portiamo noi!
Comprate! Comprate! - Il sindaco è felice
Sentito cosa dice? Alla città conviene
Perché più voi comprate e più le cose vanno bene!
Riempitevi i cassetti! Riempitevi il cassone!
Riempitevi la vita che non entri la ragione!
Comprate tutto subito! - Ci penserete poi!
Il mondo è grasso e ricco, e...
CI SIAMO SOLO NOI!
- Squeaaaaak...
- Ehi! Coz'era?
Cos'era? Ve lo dico io cos'era.
Lo sapete cosa succede quando si esagera?
Non avete mai sentito qualche vecchia zia noiosa, qualche nonna sentenziosa, ripetere quel proverbio, "il troppo stroppia"? Be' insomma, è proprio così: il troppo stroppia.
Chi si compra troppe armi - uomo o stato che sia - prima o poi le vuole usare, e stroppia.
Chi si compra una macchina troppo veloce ci vuole correre, e prima o poi si stroppia.
Chi consuma troppo non sa dove mettere la spazzatura, e la sua casa stroppia.
Il regno che accumula troppo danaro, e lo fa girare troppo facilmente, si ritrova la casa piena di ladruncoli, faccendieri e tangentisti.
E la città che accumula troppo grano, troppo riso, troppo zucchero, troppo lardo, formaggio, castagne, aringhe, mele... si ritrova le cantine piene di... piene di...
Per leggere il resto occorrerà comperarlo. In libreria o presso...
Ma due ultimi assaggi voglio darli. Due poesie, che anche nel libro ho chiesto fossero estratte gentilmente dalla carne del testo, loro terreno di nascita e vita, e ripetute in coda al volume: forse sanno tenersi in piedi anche da sole.
Luna, luna, luna!
Guardami, luna cattiva
Guardami piangere nella sfortuna
Dimmelo tu quando arriva
Quello che viene da fuori
Con la sua musica triste
Con le parole che rubano i cuori
Dimmelo che lui esiste
E che ci porterà via
Fuori da questa città
Dove non cresce nessuna poesia
Perché c'è troppa realtà
Luna, che tutto indovini
Dimmi che sarà così
Porterà me, coi miei bambini
Molto lontano da qui!
Canto del No
Signore, io non suonerò per te.
Né mai per nessun altro come te.
Le vedi le mie dita? - Colibrì!...
Io ci ho messo una vita, per suonare così.
E tu le vuoi comprare per denaro?
Lo sai cosa ti dico?
Non sei abbastanza ricco.
Ti è chiaro?
Ed anche se lo fossi - non basta.
Perché se te la vendo, la musica si guasta.
Non posso farci niente, è così.
Hai visto come tira, il colibrì,
con quelle alette piccole di vetro?
Hai visto quanta gente porta dietro?
Se gli metto la briglia,
per farlo andare lì dove vuoi tu,
lui fa come tua figlia: non vola più.
Né io né tu facciamo un buon affare.
Allora, Borgomastro, lascia stare.
Hai soldi, hai case, è tua questa città:
forse sei un po' ubriaco di realtà.
E vuoi l'unica cosa che io ho.
E io non te la do.
Mi spiace, ma non suonerò per te.
Né mai per nessun altro come te.
Questa pagina è stata creata il 7 maggio 2007
ARRIVEDERCI