Playa
Girón
Nell'aprile del 1961, 1500 soldati
mercenari, sbarcati sulla Playa de Cochinos, si dirigono verso la Playa
Larga e la Playa Girón. Il Che occupa il suo posto di combattimento
nelle forze armate e si reca alla Prefettura di Pinar del Rio. In tantissime
capitali dell'America Latina avvengono grandi manifestazioni popolari contro
l'attacco a Cuba. Tra le più grandi quella di La Paz: sono in molti
i giovani, tra cui Coco e Inti Peredo, che saranno al fianco del Comandante
Guevara in Bolivia, che vorrebbero andare a Cuba per combattere. In pochi
giorni i mercenari si arrendono e mentre a Cuba la televisione intervista
alcuni di loro, il Presidente degli Stati Uniti, J.F. Kennedy, ammette
la responsabilità degli Usa e annuncia l'embargo totale contro Cuba,
che dura ancora oggi.
Il 1962 è l'anno della pianificazione.
Alla televisione, in gennaio, durante una relazione sull'andamento del
raccolto della canna da zucchero, insiste decisamente sulla necessità
di reclutamento per il lavoro volontario nei campi, ma anche sull'unità
dei lavoratori, del popolo. Riguardo alla politica di divisione dei popoli
portata avanti dall'imperialismo, il Che afferma: "Arrivano dove le masse
sono uguali e cercano di dividerle in neri e bianchi, in più capaci
e meno capaci, in istruiti e analfabeti; poi operano successive divisioni
fino a ottenere l'individuo e a fare dell'individuo il centro della società.
Noi dobbiamo dimostrare al popolo che la sua forza non consiste nel credersi
migliore o peggiore degli altri, ma nel conoscere i propri limiti così
come la forza dell'unione, nel sapere che due persone contano più
di una, dieci più di due, e cento più di dieci. E sei milioni
più di cento!".
Il
15 aprile, nel discorso di chiusura del congresso nazionale della Central
Trabajadores Cubanos (Confederazione del lavoro), il Che annuncia l'inizio
della fase dell'emulazione socialista in tutto il Paese sottolineandone
la funzione importante per l'adempimento del piano economico. Alla vigilia
dell'arrivo, a settembre, dei missili sovietici a Cuba, compie un viaggio
nell'Urss.
Missili
e crisi
Il 22 ottobre 1962, il presidente
degli Stati Uniti, J. F. Kennedy, dispone il blocco navale contro Cuba
e chiede il ritiro da parte dell'Unione Sovietica dei missili strategici
situati sull'isola. Il Che è designato a guidare il fronte dell'Esercito
Occidentale nella provincia di Pinar del Rio, giurisdizione municipale
La Palma, a circa tredici chilometri da San Andrés de Caiguanabo,
dove nasce il fiume San Diego. Stabilirà il suo comando nella Cueva
de Los Portales che prende il nome da un'antica famiglia spagnola.
In quei giorni il mondo è
attraversato da una grande paura. In tantissime capitali, soprattutto latino-americane,
avvengono manifestazioni di appoggio alla pace che si vede in grande pericolo.
Anche il "papa buono", Giovanni XXIII, chiede a Krusciov e Kennedy, i padroni
del mondo, di riprendere il dialogo. Che faranno? A La Paz, in Bolivia,
i lavoratori si mobilitano al grido di "Cuba, Cuba". Proprio su quelle
piazze, negli scontri con la polizia muoiono cinque manifestanti e ci saranno
centinaia di feriti. Verso la fine di ottobre la crisi rientra e il mondo
tira un sospiro di sollievo. Pochi giorni prima, il 20 ottobre 1962, nell'anniversario
della fondazione delle organizzazioni giovanili diventate Union de Jovenes
Comunistas, il Che aveva attaccato con durezza il settarismo, il conformismo,
il distacco tra dirigenti e masse popolari, esaltando lo spirito internazionalista:
"Occorre dichiarare guerra al conformismo, a ogni tipo di conformismo.
Essere sempre aperti a nuove esperienze, per adattare la grande esperienza
dell'umanità, che avanza da molti anni lungo il sentiero del socialismo,
alle condizioni concrete del nostro Paese, alle realtà esistenti
a Cuba; e pensare - tutti e ognuno di noi - a come cambiare la realtà,
a come migliorarla. […] Il giovane comunista deve proporsi di essere sempre
il primo in ogni cosa, lottare per essere il primo, e sentirsi a disagio
se occupa il posto sbagliato [...] Essere un esempio, fare da specchio
ai compagni che non appartengono alla gioventù comunista, fare da
specchio agli uomini e alle donne di età più matura che hanno
perso un po' dell'entusiasmo giovanile, che hanno perso la fede nella vita,
e che davanti allo stimolo di un esempio reagiscono sempre bene. Questo
è un altro compito dei giovani comunisti. […] Oltre a questo, voi
dovete avere un grande spirito di sacrificio, uno spirito di sacrificio
non soltanto nelle giornate eroiche, ma in ogni momento. Sacrificarsi per
aiutare il compagno nelle piccole mansioni, perché possa svolgere
il proprio lavoro, perché possa compiere il proprio dovere a scuola
e perché possa comunque migliorare. Ovvero, vi chiedo di essere
essenzialmente umani, ma così umani da avvicinarvi al meglio di
ciò che è umano, purificare il meglio dell'uomo attraverso
il lavoro, lo studio, l'esercizio della solidarietà continua con
il popolo e con tutti i popoli del mondo; sviluppare al massimo la sensibilità
fino a sentirvi angosciati quando in qualche angolo di mondo si uccide
un uomo ed esultare quando in qualche angolo di mondo si alza una nuova
bandiera di libertà. Il giovane comunista non può farsi limitare
dalle frontiere di un territorio: il giovane comunista deve praticare l'internazionalismo
proletario e sentirlo come cosa sua! [...] Ci sarebbero tante cose di cui
parlare. Ma dobbiamo anche compiere i nostri doveri. E ne approfitto per
spiegarvi perché ora vi saluto. Vi saluto perché vado a compiere
il mio dovere di lavoratore volontario in una fabbrica tessile dove stiamo
lavorando da tempo".
Nello stesso intervento, il Che dice
a proposito della burocrazia: "È evidente che il burocratismo non
nasce con la società socialista e non ne è neppure una componente
obbligatoria. La burocrazia statale esisteva all'epoca dei regimi borghesi
con il suo corteo di prebende e lacché, dal momento che all'ombra
del sistema viveva un gran numero di opportunisti che costituivano la corte
del politico di turno. In una società capitalista in cui tutto l'intero
apparato statale è messo al servizio della borghesia, l'importanza
dirigenziale del burocratismo è minima: esso dev'essere abbastanza
permeabile da permettere il movimento degli opportunisti e abbastanza ermetico
da stringere il popolo nelle sue maglie". Il Che spiega che se andassimo
a ricercare le sue radici nel momento attuale, a vecchie cause si aggiungerebbero
alcune ragioni fondamentali: "[…] mancanza di motore interno. Con questo
intendiamo la mancanza di interesse dell'individuo a rendere un servizio
allo Stato e a superare una data situazione. Si basa su di una mancanza
di coscienza rivoluzionaria o comunque sul conformismo nei confronti di
ciò che va male. Un'altra causa è la mancanza di organizzazione.
Spesso l'unica via d'uscita trovata da un buon numero di funzionari consiste
nel richiedere più personale per compiere un lavoro che potrebbe
essere facilmente realizzato con un poco di logica e senza inutili complicazioni.
Non dobbiamo dimenticare, comunque, per fare davvero una sana autocritica,
che della maggioranza dei mali burocratici è responsabile la direzione
economica della Rivoluzione".
Legge materiali di studio, ma anche
novelle, poesie e opere teatrali. Si muove sempre con semplicità,
parla con tutti e, al mattino, quando entra nel grande e serio palazzo
del "ministero dell'Industria, le donne si voltano, al suo passaggio; è
bello il ministro, dicono, è gentile.
Il 17 febbraio 1963, nel Campo della
Central Brasil, Provincia di Camaguey, organizza una ennesima "emulazione
fraterna" riguardante la raccolta della canna da zucchero, con altri lavoratori:
vince la gara, acquista bibite per tutti e si felicita con i compagni che
invita a pranzo.
Il primo maggio sfila sulla Piazza
della Rivoluzione.
In Algeria
Sempre nel 1963, a luglio, compie
il viaggio in Algeria dove presenzia ai festeggiamenti del primo anniversario
dell'indipendenza del popolo algerino che dopo più di centotrenta
anni si era liberato del colonialismo francese. Partecipa al seminario
di pianificazione di Algeri. È a colloquio con Ben Bella e incontra
Boumedien. In un'intervista, dichiara che Cuba e l'Algeria devono servire
d'esempio a tutti i Paesi dell'America e a quelli dell'Africa. Ritorna
a La Habana in compagnia di Boumedien, invitato per i festeggiamenti del
26 Luglio in rappresentanza del suo Paese.
Nel febbraio del 1964 tiene una conferenza
alla televisione sull'automazione e la meccanizzazione per lo sviluppo
di nuove industrie. È uno dei primi ministri del mondo che parla
dello sviluppo tecnologico e dell'informatizzazione. A marzo è alla
testa della delegazione cubana che assiste alla conferenza sul commercio
e lo sviluppo convocata dall'Onu a Ginevra. Sarà intervistato da
ottanta giornalisti nel salone del Palazzo delle Nazioni Unite. In questo
incontro internazionale, sottolinea l'importanza di riunioni periodiche
tra i Paesi sottosviluppati, per definire il futuro politico, commerciale
e tecnologico.
Nell'anniversario dell'insurrezione
di Santiago de Cuba del 1956, ribadisce che la libertà molti popoli
la possono conquistare solo con le armi e che per la lotta rivoluzionaria
vale la pena di rischiare la vita sui campi di battaglia di tutti i continenti
del mondo.
A New York,
all'Onu
A dicembre è a New York alla
testa della delegazione cubana per partecipare alla XIX assemblea dell'Onu
e pronuncia, il giorno 11, il suo discorso. Pensando al Congo, alla morte
di Patricio Lumumba e all'assunzione del potere di Tshombe, dice: "Mi riferisco,
nella fattispecie, al Congo, doloroso e unico esempio nella storia del
mondo moderno di come ci si possa fare beffe, con la più assoluta
impunità e con il più offensivo cinismo, del diritto dei
popoli. Causa diretta di tutto questo sono le ingenti ricchezze del Congo
che le nazioni imperialiste vogliono mantenere sotto il proprio controllo.
[...] Come si fa a dimenticare la forma in cui è stata tradita la
speranza riposta da Patricio Lumumba nelle Nazioni Unite? Come si possono
dimenticare i giochi e le manovre che sono seguiti all'occupazione del
Congo da parte delle Nazioni Unite, sotto i cui auspici hanno agito impunemente
gli assassini del grande patriota?"
L'Africa
Siamo nel 1965, anno dell'agricoltura
a Cuba, e dei rapporti di Ernesto Che Guevara con l'Africa e il suo popolo.
Ai primi di gennaio è in Congo dove s'incontra col presidente Debat
e coi dirigenti rivoluzionari angolani Agostino Neto e Lucio Lara. Neto
gli chiede l'invio di istruttori cubani. Poi va in Mali, dove incontra
gli operai della Société des conserves du Mali; a colloquio
con Modibo Keita insiste sulla situazione internazionale e africana in
particolare, e sui problemi interni dei rispettivi Paesi. A Cuba, in febbraio,
vicino a Pinar del Rio, un centinaio di volontari si appresta a indossare
la divisa internazionalista che li porterà a fianco del Che in Congo.
Nello stesso periodo si recherà in Congo, Guinea, Ghana, Dahomey
(oggi Benin), Tanzania. Nei discorsi, tocca soprattutto i temi dell'istruzione,
dell'organizzazione e appena può s'incontra con i dirigenti sindacali.
Il tasto su cui torna sempre, però, in qualsiasi occasione, è
quello della inesauribile pratica neocolonialista dei grandi interessi
economici mondiali in America Latina, in Africa e in Asia e la necessità,
quindi, di una unità d'azione tra i popoli di questi tre grandi
e importanti continenti.
L'8
febbraio del 1965 è a Parigi, al Louvre: cammina sulle pietre di
Grecia e d'Egitto; ammira El Greco, Rubens e si sofferma come molti cittadini
del mondo di fronte a Leonardo e alla sua Monna Lisa.
L'11 febbraio, in una conferenza
stampa a Dar-es-Salaam dichiara: "Dopo il mio viaggio attraverso molti
paesi africani sono convinto che è possibile creare un fronte comune
di lotta contro il colonialismo, l'imperialismo e il neocolonialismo".
Ritorna in Algeria, poi va in Egitto, visita vari complessi metallurgici
e tessili della capitale, la diga di Assuan, una fabbrica di fertilizzanti
e lo zuccherificio Komombo. Compie un viaggio di propaganda in compagnia
di Nasser: parla, discute e cerca di capire.
Rientra a La Habana, via Praga, il
14 marzo del 1965. All'areoporto ci sono Fidel Castro, Dorticos, Carlos
Rafael Rodriguez e Orlando Borrego. È l'ultima volta che Ernesto
Guevara, detto il Che, compare in pubblico. Il 14 marzo 1965, a trentasette
anni, il Che scompare infatti agli occhi del mondo. Si ritira per modificare
le sue conosciutissime sembianze, per arrivare, attraverso la Tanzania,
nell'ex Congo Belga, pensando già alla Bolivia. A tale proposito
la parola va a Fidel Castro: "Aveva molte idee, a partire dall'esperienza
fatta a Cuba, di quello che si poteva organizzare. Stava pensando alla
sua patria […] ma pensava a tutta l'America [...] Era molto interessato
ai problemi internazionali, ai problemi dell'Africa. In quel periodo c'era
stato l'intervento dei mercenari in Congo Belga, oggi Zaire; era morto
Lumumba e nello Zaire vigeva un regime neo-coloniale e si stava organizzando
un movimento di lotta armata. Questo movimento rivoluzionario aveva bisogno
di aiuto e a un certo punto ci chiese di mandare istruttori e combattenti,
di preparare una missione internazionalista [...] Fui proprio io
a suggerire che occorresse aspettare, ma il Che desiderava preparare quadri,
sviluppare l'esperienza della guerriglia, e allora noi lo facemmo responsabile
del gruppo dei cento cubani che andarono ad aiutare i rivoluzionari nell'attuale
Zaire. Non rendemmo pubblica la notizia".
Il Che ha bisogno di un passaporto
nuovo. A poco a poco scompaiono i suoi bei capelli scuri. Dopo vari tentativi
e sofferenze, è a posto; rimangono solo pochi ciuffi ai lati delle
orecchie; ingrassa, anche. La giornalista Juana Carrasco, che lo incontra
segretamente a La Habana, non lo riconosce.
Entra in una sala e glielo mostrano:
è un uomo bianco, pelato, chi è? Glielo dicono e lei rimane
di stucco. In Congo, Ernesto Che Guevara entra con un passaporto intestato
a Ramón Ben¡tez. Il 1° aprile del 1965, scrive la lettera
di addio ai suoi genitori e ai suoi figli: "Cari vecchi, un'altra volta
sento sotto i miei talloni la costola di Ronzinante e torno sulla vecchia
strada. Quasi dieci anni fa vi ho scritto un'altra lettera di addio. Ricordo
che con voi mi lamentavo di non essere un miglior soldato e anche un medico
migliore; la seconda cosa non mi interessa più. Come soldato, ora,
non sono poi così male. Nel profondo nulla è cambiato, salvo
che sono molto più cosciente e il mio marxismo si è fortificato
e depurato. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli
che lottano per la loro liberazione e sono coerente con quello in cui credo.
Certamente molti mi chiameranno avventuriero, e lo sono, ma di un tipo
diverso e di quelli che mettono a disposizione la propria pelle per dimostrare
le proprie verità. Può essere che questa lettera sia quella
definitiva. Non cerco la fine, ma è dentro il logico calcolo delle
possibilità. Se sarà così, ricevete il mio ultimo
abbraccio. Vi ho voluto molto bene, solo che non ho saputo esprimere la
mia affettuosità; sono estremamente rigido nelle mie azioni e credo
che a volte anche voi non mi abbiate capito. Certo, non era facile capirmi.
D'altra parte, credetemi, soltanto oggi una volontà, che ho acquisito
quasi con ricerca d'artista, mi permette di sostenere due gambe deboli
e i miei polmoni stanchi.
Ricordatevi ogni tanto di questo
piccolo condottiero del secolo ventesimo. Un bacio a Celia, a Roberto,
Juan Mart¡n, a Beatriz, a tutti. Un grande abbraccio dal vostro figliol
prodigo, recalcitrante, per voi. Ernesto".
Il Che si muove come al solito: combatte,
medica sia i ribelli che i contadini che riportano ferite nei combattimenti,
prepara sempre spazi dedicati alla scuola e all'educazione. Ribadisce più
volte che non è lì per lottare al posto degli zairesi, ma
al loro fianco. È dai capi della resistenza, che lo hanno chiamato,
che prenderà gli ordini. Utilizza un dizionario swahili-francese.
Sono con lui anche José Mar¡a Mart¡nez Tamayo, Harry
Villegas e altri compagni della Sierra che lo accompagneranno anche in
Bolivia. Raccomanda ai cubani di non lamentarsi dei disagi del dormire
sulla paglia o su una base di guano secco. Quando gli danno una pasta fatta
di salsa e farfalle, fa fatica a mangiarla, ma alla fine la mangia senza
discutere. Accordi fra Stati africani e i differenti, e a volte litigiosi,
fronti di Liberazione Nazionale, portano a una specie di cessate il fuoco.
I congolesi salutano con molto calore e rispetto i combattenti cubani che
lasciano, dopo circa sette mesi, lo Zaire.
Il Che passa di nuovo dalla Tanzania,
poi si reca in un paese dell'est europeo dove viaggia con il passaporto
intestato a Raúl Vázquez Rojas, di professione carpentiere.
Sempre sotto pseudonimo, va a La Paz, per avere notizie di amici e parenti.
È impaziente per la conquista della piena indipendenza dei popoli
dell'America Latina, in special modo pensa alla sua terra d'origine, l'Argentina.
E poi c'è la Bolivia, dove vi erano state molte manifestazioni popolari
contro il governo. Tornato a Cuba, chiede a Fidel Castro di non affidargli
alcun incarico di governo, nessuna mansione ufficiale, perché voleva
essere libero, in un momento determinato, di ritornare in patria o di andare
a lottare a favore di un altro popolo. |