Il carattere etnologico più interessante dell'India è l'esistenza
delle caste; la casta ha assorbito le antiche divisioni delle tribù e
addirittura alcuni aggruppamenti etnici di maggiore entità. La loro origini si
fa risalire addirittura a Manu, ma furono anche i pensatori vedici a trarre dal
cosmo l'organizzazione castale: dal desiderio infatti di riprodurre una società
che simuli l'organizzazione del cosmo nacquero
bràmhani (sacerdoti);
kshatrya (guerrieri e principi);
vaiçya (agricoltori, artigiani e
commercianti);
çùdra (servi e
operai).
Le prime tre caste erano costituite dai dominatori ariani, che si
imposero sugli abitanti della valle dell'Indo, l'ultima è quella dei vinti, i
non-ariani. Fu anche stabilita una categoria "fuori casta", composta da color
che non appartenevano a questi due gruppi ma a tribù sottomesse. Già nel periodo
vedico si afferma che ogni individuo deve mantenere il proprio posto e svolgere
solo le funzioni che gli riguardano. Ai soli membri delle prime tre categorie è
riservata l'iniziazione induistica, che conferisce lor il titolo di dvija («nato
2 volte»). Spesso poi le caste si suddividono ulteriormente in caste inferiori
endogame (jati), e queste in gruppi minori (gotra), per lo più esogamici, basati
su discendenza patrilineare e territorialità. La separazione fra caste si
associa all'idea che ci si contamini entrando in contatto, anche indiretto, con
caste inferiori. Sono tuttavia frequenti le infrazioni, dove ad esempio
gli uomini prendono in moglie donne in sottocaste inferiori alla loro. Il
sistema castale indiano presenta un'estrema diversificazione regionale e che ha
subito nel tempo enormi mutamenti. Sovente le caste presentano ben distinti
caratteri somatici, e l'origine della stratificazione è da attribuirsi al tempo
delle conquiste fatte dalle stirpi di pelle chiara sulle genti dalla pelle più
scura. Il fatto che le caste non possono venire a contatto l'una con l'altra ha
dato origine a complessi riti. Le caste servono a denotare tre fattori:
la specializzazione ereditaria della professione o
del mestiere;
l'interdizione rigorosa di
contatti (specialmente connubio e mensa) con individui di altre caste;
rispetto della gerarchia brahmanica come
regolatrice e vindice suprema delle leggi della casta.
Ma le caste indiane
hanno assorbito e utilizzato anche le divisioni etniche preesistenti: così
talune possono essere discendenti delle grandi famiglie di invasori
(arii).
Mentre da una parte il moltiplicarsi delle caste in innumerevoli sottocaste ha prodotto altrettanti gruppi rigorosamente separati dal punto di vista liturgico, dall'altra il diffondersi di pratiche settarie unisce quotidianamente nella pratica religiosa enormi masse di indù differenti per casta, razza, lingua e costume. In effetti, nonostante le pretese professionali dei brahmana, il potere spirituale vero e proprio è al di là delle caste. Nella società indiana, dai tempi vedici a oggi, i detentori effettivi del potere spirituale liberamente riconosciuto da tutte le classi del popolo sono gli yogin, i sadhu, che impersonano l'ideale della santità, i jivanmukta, i "liberati in vita" che hanno realizzato in se' il Supremo Spirito, il Prabrahman, e quindi spezzato la ruota delle rinascite, così pure i Mahatman, i "magnanimi", o Paramahamsa, "supremi hamsah".
Tutti questi esseri, viventi depositari di una tradizione ravvivata di epoca in epoca da nuove rivalezioni, sia riassumono nella figura del guru, che guida il discepolo a rinascere in vita al mondo soprasensibile dello spirito.
Abbiamo quindi nella società religiosa e civile indiana 2 gerarchie "perpendicolari": una per caste, chiusa, liturgica e professionale, ed un'altra (verticale rispetto alla prima), basata esclusivamente sul grado di iniziazione dell'individuo al supremo Vero. Questa apparente contraddizione della società è molto bene rappresentata dalla condizione religiosa della donna, che è considerata in due modi opposti; da una parte è la garante della continuità della famiglia, quindi della perpetuazione dei riti nelle generazioni: per questo motivo i testi brahmanici attribuiscono alla donna, come sposa, madre e fidanzata, la precedenza di fronte a re e brahmana. La devozione femminile al marito e al dharma è celebrata al pari delle più austere ascesi dei sadhu; sati, "colei che è", "la buona sposa", è colei che segue il marito fin sulla pira funebre, sebbena la pratica sia sconosciuta ai Veda e combattuta dai Shivaiti.
Non è oltremodo infrequente il caso di donne-guru nelle sette tantriche, come in alcuni antichi misteri mediterranei attorno alle figure di Cibele, Artemide o Persefone.
Di fronte a questa posizione privilegiata della donna nel campo religioso, permane invece un insieme di tabù risalenti all'epoca vedica, che rendono la donna incapace di accedere ai riti e la assimilano ai sudra, i fuori casta, e ad altri esseri ritualmente impuri.
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