La scuola del Nyàya si occupa della logica, affermando che tramite
la conoscenza di essa, e della capacità di battere l'avversario nella disputa di
un discorso si può ottenere la liberazione (apavarga), la felicità suprema
(nihshreyasa): ciò è affermato già nel primo sùtra del testo basilare. Le
concezioni logiche erano già state definite in periodo vedico, perché da sempre
in India era comune la disputa dialettica; il testo basilare della scuola del
Nyàya è il Nyàya sùtra, la cui attribuzione è incerta: si da il merito della sua
composizione a Gautama (da non confodersi col Buddha), ma c'è che invece lo da a
Akshàpada, e infine risluta che probabilmente erano la stessa persona, anche se
pure qui si potrebbe trattare semplicemente di un prestanome per concezioni, che
come già detto, erano già presenti molto prima. Oltre però che esser derivata
dal periodo vedico, questo diletto per i discorsi potrebbe derivare dagli studi
medici: qui infatti era necessaria la deduzione che portasse dai sintomi al tipo
di malattia; nel testo medico Carakasamhità di Caraka, vissuto probabilmente nel
II secolo a.C. comparivano le regole del ragionamento e dela discussione
corretta.
Anche per quel che riguarda la cronologia di questo testo si hanno
molti dubbi, perché il primo libro risulta molto posteriore ai successivi; per
quel che riguarda i Commentari, questi sono di Vàtsyàyana, collocabile intorno
al 450 d.C. Il termine Nyàna deriva dalla radice nì, che significa «guidareV,
«condurre», o anche «regola», «metodo».
Sebbene il gusto delle dispute
verbali sia ben noto anche prima di questa scuola, molti studiosi, anche
indiani, affermano una derivazione di questo gusto dai Greci, facendo derivare
il sillogismo indiano da quello aristotelico, seppure le differenze sostanziali
dovrebbero non portare a questa conclusione.
Il sapere fine a se stesso, come
in tutto il sapere filosofico indiano, non è considerato utile né lodevole;
anche nel Nyàya viene ammesso il karma e la presenza di un ishvara (Signore),
che però, che differisce lievemente da quello yogico: qui infatti egli si limita
solamente a gestire il karma, a lodare o punire l'individuo per le sue azioni.
Il Nyàya sùtra divide il reale in 16 categorie,dove nel primo gruppo, che è
composto dagli elemti necessari a definire una tesi, compaiono:
i mezzi per una retta conoscenza (pràmana);
gli oggetti di tale conoscenza (prameya);
il dubbio (samshaya);
lo scopo o il motivo (prayojana);
l'esempio (drishtanta);
la conclusione, o tesi dimostrata
(siddhànta).
Il secondo gruppo comprende gli elementi della discussione
per arrivare al giudizio finale:
le parti del
ragionamento (avayava);
l'ipotesi
(tarka);
la tesi a cui porta l'ipotesi
(nirnaya);
la discussione (jalpa);
i ragionamenti speciosi (vitandà);
gli errori logici (hetvàbhasà);
il travisamento (chala);
l'obienzione inconsistente (jàti);
le assurdità dell'avversario
(nigrahasthàna).
pramàna
I pramàna sono quattro, e si basano
tutti sui sensi; lo scrittore del sùtra infatti, al contrario di quanto si
diceva nello Yoga, ammette una
realtà "fisica", nel senso che gli oggetti hanno una esistenza concreta. Il
primo pramàna è il pratyaksha, ovvero la percezione, che si ha quando avviene il
contatto fra il senso (indriya) e il suo oggetto speicifico (artha) (anche la
concezione Vaishesika poggiava su
queste convinzioni).
Il secondo mezzo è l'inerenza (anumàna), il cui
presupposto è il contesto percettivo: da un elemento percepito se ne ricava uno
non percepito, giungendo così alla conoscenza; si potrebbe dire che questo è in
piccolo quello che è il sillogismo considerato in questa scuola (cfr. più
avanti). Un tipico esempio presente nel Nyàya è quello che riguarda il fumo a la
montagna: se si vede del fumo sulla montagna, si capirà che vvi è un incendio,
poiché si associa il fumo al fuoco, dato che è noto che questo si produce in
tale circostanza; se non ci si appoggia alla percezione non si avrà nessuna
deduzione. Questa può essere praticata in 3 modi: a posteriori, quando la dalla
causa si prevede l'effetto, a priori, quando dall'effetto si giunge alla causa,
per generalizzazione, quando si va dal partcolare al generale.
Il terzo mezzo
è la comparazione (upamàna), dove partendo dal noto si arriva all'ignoto.
Il
quarto e ultimo mezzo è la testimonianza verbale (shabda), utilizzando cioè la
conoscenza di un veggente (rishi), con stretto riferimento ai Veda.
prameya
Gli oggetti della conoscenza sono 11, e più in specifico:
il sé (atman);
il
corpo;
gli organi di senso;
la capacità intellettuale discriminante
(buddhi);
il manas;
l'attività;
il
demerito;
lo stato dopo la morte
(pretyabhàva);
il frutto delle azioni;
il dolore (duhkha);
la liberazione (apavarga).
Il corpo è la sede degli
organi di senso, e si possono quindi considerare insieme; gli organi di senso
considerati sono gli stessi a noi noti. Gli ultimi 6 oggetti si riferiscono alla
legge del karma, e sono intese in modo affine a quelle delle altre scuole,
mentre atman e manas meritano un discorso a parte.
L'esistenza di un sé,
altrove criticata, è ineccepibile, perché senza un centro che diriga le
percezioni, queste non potranno esserci, e quindi la conoscenza: questo perché
ancora una volta ci sono oggetti che ci attraggono e altri verso i quali
proviamo repulsione (proprio quello che condanna lo Yoga).
Il manas è invece
il "complesso psichico/mentale"; questo non può collegarsi a più di un pensiero
alla volta perché non può collegarsi a più di un senso per
volta.
samshaya
Questo deriva dalla mancanza di chiarezza nel discorso, che può
presentarsi nel qual caso vengano percepite sensazioni molto simili fra loro, o
non si hanno i mezzi adeguati per avere una definizione
precisa.
prayojana
Questo è il motivo per cui si compie l'azione, e sarà molto
importante, da parte dell'adepto, considerarla.
drishtànta, siddhànta e nirnaya
E' l'esempio, del quale ci si potrà servire nel discorso; ci si
potrà servire anche di verità acquisite, già date per certe dalle varie scuole
filosofiche. Le ultime in elenco sonole conclusioni di altre dispute, delle
quali, anche qui, ci si può avvalere.
tarka e vitandà
Nella discussione si può
anche ricorrere a dei ragionamenti per assurdo (i primi) ma badare attenzione a
non compiere errori; questi possono essere sofismi, cavilli, risposte
inconcludenti ecc.
avayava
E' il sillogismo indiano, composto
da 5 membri. Quello che segue è un esempio classico.
Proposizione (praijnà): «il suono non è
eterno»
Questa è la prima frase, il primo membro, che definisce cosa si deve
affermare.
Segno esplicativo (hetu): «perché è
prodotto»
è il membro che da sostegno al precedente, una precisazione che da
forza a ciò che si deve dimostrare.
Esempio
esplicativo (drishtànta): «tutto ciò che è prodotto non è eterno: per esempio,
il vaso»
viene qui effettuata una connessione universale, un po' per come più
semplicemente avveniva nell'upamàna, in modo da supportare l'argomentazione con
un oggetto specifico e tangibile. Anche qui si trova una somiglianza col
Vaisheshika, il sui caposcuola afferma che tutto ciò che è prodotto non è
eterno.
Applicazione (upanaya): «questo è il
caso del suono»
a questo punto si applicano le conclusioni alla
proposizione.
Conclusione (nigamana): «perciò
il suono è eterno»
a differenza del punto precedente, qui si riannodano tutti
i fili del discorso.
Si può dire che il principio di non contraddizione
aristotelico è abbracciato anche da questa scuola, perché essa ammette che una
cosa non può essere il suo contrario; per quel che riguarda il principio primo,
sempre per parlare in termini aristotelici, qui si torna all'atomo, che sebbene
non definibile singolarmente, è definibile quando forma in gruppi una
entità.
Quando finalmente si sarà aggiunta la conoscenza, l'atmàn e il
tamas si uniranno, tanto che il manas si ritira, per fornire una situazione
simile a quella del sonno senza sogni; eppure per fruire della liberazione
attraverso la conoscenza il percorso investe più vite, finché però non cesserà
il merito (dharma) e il demerito (adharma), sopprimendo l'origine del dolore.
Nella Nyàya la logica è considerata la via miglireo epr accedere alla
liberazione, e all'adepto viene addirittura consigliato l'uso di mezzi illeciti
per arrivarvi, qualora però ci si trovi dinanzi a un nemico che ha già "barato",
e arrivare alla fine della discussione vittoriosi, anche se non si scopre la
verità.
Nell'evoluzione della scuola, questa subì una fusione con quella
Vaisheshika, della quale si è accennato più di una volta: poiché nel Nyàya
mancava di una descrizione cosmologica, questa gli venne fornita proprio
dall'altra scuola, la quale, a sua volta, poteva usufruire di mezzi di
ragionamento molto più affintati. Questo bene o male avvenne anche per le altre
4 scuole.