LA MANO D'AVORIO
Da un racconto di
W. W. Jacobs
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Londra: 1923.
Wilson tremava e barcollava, e nei suoi occhi si poteva scorgere un'ansia indiscreta, traditrice; una strana espressione titubante e costernata. Ma soprattutto l'attenzione di Danley era indirizzata a ciò che l'altro gli porgeva, nonché a ciò che gli aveva detto:
-Dicono che abbia dei poteri. Chi la tenesse strettamente nel proprio pugno vedrebbe avverati i suoi tre più grandi desideri.-
Tre desideri...
Ma Wilson si stava comportando in modo ambiguo. Da nessuno dei suoi gesti o parole si capiva cosa gli passasse effettivamente per la testa. Voleva regalargliela? Proporre uno scambio? Che altro? Vendergliela?! Dio mio! Sarebbe stato assurdo! Non avrebbe scucito un solo penny per comprare una manina d'avorio, per quanto finemente intagliata. Aveva i brividi al solo guardarla.
-Graziosa,- si ritrovò inspiegabilmente a dire, -dove l'ha trovata?-
Wilson parve ancor più imbarazzato.
-Era...- si schiarì la gola, -apparteneva ad un mio lontano parente, morto da poco.- La prese fra le dita e la rigirò pensoso. -Era tra le sue carabattole.-
-Capisco.- Disse Danley, appoggiandosi al suo bastone. Guardò l'altro direttamente in volto, chiedendosi dove questo volesse arrivare. Pur conoscendosi da più di trent'anni non era che tra i due fosse nata chissà quale amicizia. Anzi, l'assoluta inerzia affettiva instauratasi tra loro fin dal momento in cui si erano conosciuti aveva molto stupito Danley, abituato invece a legare con chiunque, ad essere amico di tutti. Avevano lavorato come impiegati nella stessa ditta per una vita, scambiandosi a mala pena saluti ed auguri festivi, e ora questo... Il loro incontro era stato decisamente fortuito: due pensionati malconci e bigi che si incrociano per strada durante la loro passeggiata quotidiana. Ma la deliberazione con cui lo strano oggetto gli era stato mostrato era innegabile.
-Ho qui qualcosa...- aveva detto Wilson dopo le domande di rito sulla famiglia e la salute; e aveva lasciato volutamente il discorso incompleto, perché Danley lo terminasse. Ma in che modo?
"Qualcosa... di strano?"
"...di grazioso?"
"...da farle vedere?"
"...da darle?"
L'oggettino era intanto passato di mano, occhiali dalla sottile montatura dorata indossati all'occasione. Leggero, esile, dal classico color giallognolo. Le piccole dita erano chiuse in un minuscolo pugno, e la sottigliezza e perfezione dei particolari non mancarono di stupirlo, né di attrarre la sua ammirazione. E non era decisamente il frammento di una statuetta. La mano, divenuta prima polso quindi avambraccio, lasciava posto all'avorio come natura l'aveva creato: innegabilmente la zanna di un qualche animale.
-È un pò strana, non le pare?- Disse infine, e Wilson sorrise debolmente.
-La vuole?- Disse.
Un attimo dopo Danley si ritrovò a camminare frettolosamente verso casa, maledicendo la propria andatura incerta e claudicante, con la manina d'avorio nella tasca del soprabito.
Lì per lì, fu alquanto indeciso se mostrare il regalo alla moglie. Magda era una di quelle donne che non sanno perdonare le bugie, ma neanche la verità, se questa è loro scomoda. Alla fine però, estrasse la mano dalla tasca e gliela fece vedere, spiegandole a un tempo la faccenda dei desideri.
Dopo un'attimo di incertezza la moglie quasi l'aggredì.
-Dammela, dammela!!- Gridò, ma il marito riuscì con uno scatto a sottrarsi alla sua presa.
-Aspetta!- Le intimò. -I desideri li può esprimere solo chi l'ha ricevuta in dono, e nessun altro!- Questo non era vero, ovviamente, ma Danley, che sapeva bene quanto la moglie fosse superstiziosa, era certo di non correre alcun rischio di ribellione. La mano era sua, se avesse funzionato l'avrebbe usata a beneficio di entrambi. Nessuna preferenza, nessun egoismo. Questo era quanto aveva stabilito sulla strada di casa.
Magda imbronciò, delusa e rassegnata, mostrando di essersi bevuta tutta la storia.
-Cosa hai intenzione di chiedere, vecchio?- Gli chiese rudemente, e Danley sorrise debolmente. A questo, di preciso, non aveva ancora pensato.
-Tu cosa pensi che potrei chiedere?- Le domandò a sua volta, sapendo che in questo modo avrebbe riguadagnato la sua collaborazione. Difatti gli occhi di lei tornarono a brillare della luce dell'interesse.
-Soldi!- Disse; e senza esitazione.
Danley fece una smorfia: aveva ingenuamente sperato che alla moglie potesse venire in mente qualcosa di meno gretto, ora invece doveva fare i conti con la sua venalità.
-E quanto dovrei chiedere, secondo te?-
-Tanto!!- Esplose Magda con entusiasmo, ma già il marito scuoteva la testa contrariato.
-Non essere avida!- Le intimò, e lei imbronciò di nuovo. Ma si vedeva bene che era soddisfatta del compromesso: soldi sarebbero comunque stati. Per un pò assunse un'aria pensosa, quindi si schiarì la voce e annunciò la cifra che secondo lei era sufficientemente alta pur non trabordando nell'ingordigia.
-Duecento sterline.- Disse, e Danley non poté fare altro che convenire. La somma rispondeva ai requisiti.
Sedendosi al tavolo del soggiorno, e rigirando la manina tra le dita, Danley si chiese cosa avrebbe dovuto fare ora, quale era il procedimento per metterla "in moto." Tutto ciò che sapeva era che doveva stringerla fortemente nella mano. Null'altro gli era stato spiegato. Non fu senza un minimo di agitazione quindi che, stretto il pugno attorno all'oggettino, formulò il desiderio di ricevere le famose duecento sterline.
"Voglio... desidero... chiedo..." pensò, incapace di trovare una formula adeguata alla sua richiesta, ma alla fine si limitò a pronunciare mentalmente la cifra suggeritagli, e tanto gli parve sufficiente.
E l'attesa iniziò.
Magda gironzolò per casa senza sosta, senza riuscire a concentrarsi né sul lavoro a maglia che stava portando avanti, né sulla trasmissione radiofonica che l'aveva sempre appassionata, irrequieta ed elettrizzata.
Danley simulò il solito pisolino sulla poltrona preferita, quindi assunse un'aria assorta, fingendo di leggere il giornale del giorno prima. Ma non ingannò nessuno: era tirato e nervoso forse anche più della moglie. Perciò, quando a metà pomeriggio una grossa e nera automobile parcheggiò davanti alla loro porta, poté abbandonare ogni finzione e precipitarsi ad accogliere i nuovi venuti senza preoccuparsi delle apparenze.
Aprendo la porta di casa, però, fu assalito dalla paura. Sul momento, non seppe dire a sé stesso di che cosa potesse trattarsi, ma in pochi attimi quello strano e ingiustificato timore si condensò e concretizzò perfettamente nella scena che fluiva davanti ai suoi occhi. La giornata era stata grigia fin dal mattino, e l'oscurità stava sopraggiungendo con rapidità inusitata, rubando i colori e dipingendo tutto in scialbi chiaroscuri atonali. E in questo quadro quasi premeditatamente lugubre spiccava, aliena e maligna, la grossa Daimler e le due persone che da questa erano scese, serie e compunte, ma quasi frastornate, quasi sorprese di trovarsi proprio in quel luogo e proprio in quel momento. Come se loro non avessero fatto altro che salire in auto e farsi da quella guidare, trasportare alla destinazione sconosciuta al momento della partenza.
Le due persone, due uomini abbastanza giovani vestiti entrambi in modo impersonale, si avvicinarono e gli si rivolsero con fare incerto.
-Mr. Danley?- Chiese uno dei due, e in uno schianto rumoroso e abbagliante, questi ricordò finalmente dove aveva visto quelle persone e quell'odiosa Daimler nera.
-S...si?- Rispose.
-Buonasera,- continuò l'altro, -siamo della "Butler & Co. Ltd."- Danley annuì, ed ebbe un tuffo al cuore, -La ditta che... che dava lavoro a suo figlio.- Dunque, per qualche ragione, non lo dava più?
Orrendi presentimenti gli fischiarono nelle orecchie, riempendogli il cervello, e s'accorse appena della moglie che gli stava a fianco e gli stringeva spasmodicamente il braccio. Vi fu qualche interminabile istante di silenzio, poi il primo giovanotto che aveva parlato tornò a farlo.
-C'è... c'è stato un incidente, in fabbrica... cioè... presso il nostro stabilimento,- disse, e l'altro continuò più spedito: -Siamo profondamente e sinceramente dispiaciuti di dovervi annunciare la morte di vostro figlio, Mr. Danley. Purtroppo durante il suo turno di manutenzione i suoi vestiti sono rimasti impigliati tra gli ingranaggi di un macchinario che in quel momento era erroneamente in funzione.- L'argenteo radiatore della Daimler pareva sorridere.
Magda mandò un gèmito, e Danley la strinse leggermente a sé mentre l'altro terminava sbrigativamente.
-Ci consoliamo pensando che non ha certamente sofferto.- Ovviamente mentiva.
I gèmiti di Magda ruppero finalmente in un pianto aperto, ed ella si ritirò in casa frettolosamente. Danley non poté fare altro che rimanere lì, stupefatto, inerte, a guardare il cielo che diventava sempre più scuro, e le facce di quei due che diventavano sempre più imbarazzate. Dunque c'era dell'altro.
Cominciò prima uno, s'impappinò e fu sostituito prontamente dall'altro, che era decisamente più efficiente.
-Essendosi trattato di un ovvio incidente,- disse il tipo efficiente, -la ditta che rappresentiamo declina ogni responsabilità di quanto accaduto. Comunque, in ragione della laboriosità e della fedeltà che distinguevano vostro figlio, è stato deciso di elargire una certa somma a titolo di... ehm, di...-
Il tipo efficiente non riuscì a trovare la parola, ma nel frattempo la sua mano era andata alla tasca interna della sua giacca, e ne aveva estratto una mazzetta di banconote nuove e variopinte. Danley si sentì mancare.
Sapeva l'importo che la Butler & Co. Ltd aveva tanto prodigamente destinato ad equo rimborso per la morte di un figlio. Non c'era alcun bisogno di dirglielo. E non voleva sentirlo dire. Provò ad interrompere il tipo efficiente, a prevenire le sue parole, ma non riuscì che a farfugliare qualche parola senza senso. Alzò una mano nel tentativo di farlo tacere. Non voleva udire quella cifra, non voleva.
-Duecento sterline.- Disse il tipo efficiente, e piazzò la mazzetta sul palmo di Danley.
Richiudendosi la porta alle spalle udì il rombo della Daimler che veniva messa in moto, e nelle sue orecchie quel rumore risuonò doloroso e maligno come una secca risata.
Venne buio. Completamente, visto che nessuno aveva pensato ad accendere un lume, in casa. Erano rimasti per il resto del pomeriggio seduti ai loro soliti posti, guardando fissamente nel vuoto, mentre le ombre si impadronivano del salotto centimetro dopo centimetro, con il lieve ammiccare del fuoco della stufa. Poi, finalmente, Danley accese un paio di lampade ad olio e la luce tornò.
La mano d'avorio era ancora là dove era stata lasciata, sul tavolo, in piedi come una minuscola lapide.
Nell'angolo della stanza, sopra una bassa credenza, c'era una cornice con la foto del figlio Peter, sorridente nel suo immacolato completo da cricket, con gli ingombranti parastinchi e la mazza appoggiata disinvoltamente sulla spalla. Era rimasta in quello stesso posto da più di quindici anni, tanto che Danley ne aveva persino dimenticato l'esistenza. Eppure l'aveva sempre avuta sotto gli occhi. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, era passato e ripassato davanti a quella fotografia milioni di volte, e altrettante volte si era seduto a tavola nello stesso posto dove sedeva adesso, e sempre senza notarla. Ora non riusciva a distoglierne lo sguardo. Quasi sobbalzò quando la moglie gli parlò da pochi centimetri dal suo orecchio.
-Vecchio.- gli disse, e la sua voce era stanca e rauca per il pianto, -Vedi nostro figlio?-
Danley annuì debolmente: lo vedeva, lo vedeva.
-Chiedi indietro nostro figlio, vecchio.- E questi trasalì.
Chiedere indietro Peter? A questo non aveva pensato. O forse l'aveva fatto, ma era sembrato... sbagliato. Lo disse, e Magda ebbe uno scatto d'ira.
-Come sbagliato?!- Gli urlò in faccia. -Dove sbagliato?! Quella cosa ci ha rubato un figlio! Nostro figlio, vecchio! Chiedile indietro nostro figlio! Chiedile subito indietro nostro figlio Peter!!-
Danley esitò. La mente non gli funzionava tanto bene, ora. Era confuso, era triste, era stanco. Tante parole gli correvano alla bocca, ma nessuna aveva il senso che avrebbe voluto darle. Era incapace di trovare la giusta obiezione alla pretesa della moglie, e questo anche se sapeva benissimo cosa c'era che lo preoccupava. Se duecento sterline valevano la vita di un figlio, a quanto ammontava il riscatto di quella stessa vita? Duecento sterline? Ne dubitava. Cosa avrebbero dovuto sacrificare per ottenerlo indietro? E l'avrebbero ottenuto indietro?
Quanti se, quanti se. In quei pochi istanti, guardando la mano d'avorio, Danley si sentì così vecchio, così impotente.
-Avanti!- Lo incitò Magda rudemente, spintonandolo come se fosse stato semplicemente una vecchia macchina che fatica a mettersi in moto.
Danley lanciò uno sguardo alla moglie, poi sospirò rumorosamente e capitolò. Prese in mano il fragile oggettino e strinse il pugno più che poté.
"Per favore," pensò intensamente e con il maggior rispetto e riverenza che gli riuscì di trovare, "desidero disperatamente indietro mio figlio Peter. Vi prego. Vi prego, potreste rendermelo in vita?" E detto questo riaprì lentamente il pugno e depositò delicatamente la manina sul tavolo dove era prima. L'attesa riiniziò.
Ma fu molto meno ansiosa. Magda preparò silenziosamente una magra cena, e Danley rimase seduto al tavolo con gli occhi inchiodati alla vecchia fotografia del figlio finché la moglie non lo chiamò a mangiare. Consumarono lentamente il pasto di cui nessuno dei due aveva veramente voglia, poi tornarono a sedersi nel salotto.
Ma cosa stavano aspettando, si chiese Danley improvvisamente investito dall'apprensione. Loro figlio era morto. Morto. Non potevano semplicemente pretendere che riaprisse gli occhi e se ne tornasse tranquillamente a casa fischiettando. Davvero la moglie credeva che sarebbe accaduto proprio questo?! Dio! Era stato un pazzo a cedere. I morti non ritornano. Era spaventato, e lanciò alla moglie un'occhiata di risentimento. "Cosa mi hai fatto fare?" Pensò, e in quel momento qualcosa grattò alla porta di casa.
Il suo cuore prese a battere all'impazzata mentre la moglie scattava in piedi, il viso contratto in una smorfia indecifrabile. Si guardarono per un lungo istante, attendendo che il rumore si ripetesse, ma quello che seguì fu un suono completamente diverso dal precedente. Sembrava un lamento, sussurrato e perso nel vento della fredda notte autunnale, portato più dalla mente che dall'aria. E Danley ebbe la terrificante certezza di sentirsi chiamare.
-È nostro figlio!- Urlò la moglie, e si gettò alla finestra, cercando di vedere nel buio che si stendeva oltre il vetro, le mani a coppa attorno agli occhi. -È lui, Peter! Ma perché non lo vedo?!-
Danley cercò, senza riuscire, di ricomporsi: aveva funzionato! Dunque aveva funzionato! Ma cosa era tornato dal mondo dei morti? Guardò un attimo la mano d'avorio, poi la fotografia sulla credenza. Voleva davvero saperlo, si chiese mentre Magda cambiava finestra e scrutava l'esterno frenetica.
Il sospiro si ripeté, stavolta accompagnato anche dallo stesso grattare alla porta di poco prima. Ed era proprio un lamento. Sofferente. Disperato. Straziante. Non riusciva proprio a capire come facesse la moglie ad avere quell'aria felice e riconoscente. Di nuovo si sentì accapponare la pelle quando riconobbe la voce del figlio. Suo figlio che voleva entrare.
-È là fuori!- Gridò ancora la moglie. -È là fuori, poverino! Bisogna aprirlo! Vecchio, apri la porta!- Gli intimò. E quando vide che questi se ne rimaneva lì impietrito senza curarsi dell'ordine ricevuto, ella stessa si gettò sui tre grossi catenacci che la sbarravano. Di solito non sarebbe stata in grado di aprirli.
Lo schianto del primo catenaccio che si apriva fece sobbalzare Danley, e in quello stesso istante un orrendo pensiero gli trapassò la testa. Il lamento s'alzò di nuovo, aleggiò nell'aria un attimo e tornò a spegnersi. La moglie lottava disperata con il secondo catenaccio. E lui vide suo figlio Peter, al momento della morte, mentre la lisa tuta da lavoro s'impigliava agli unti ingranaggi di una grossa e rumorosa macchina dalle funzioni a lui sconosciute. Non lo immaginò, lo vide. E con una vividezza tale che il suo cuore quasi si fermò per il dolore. Vide lo sguardo terrorizzato del figlio mentre i digrignanti meccanismi lo attiravano implacabili verso la morte. Vide alcuni compagni che tentavano inutilmente di strapparlo a quel tragico destino, l'orrore stampato sulle loro facce. E soprattutto vide il sangue. Tanto sangue.
Lo schianto del secondo catenaccio risuonò secco nella stanza.
"Dio... cosa c'è là fuori?"
-Vecchio!- Piagnucolò Magda, disperatamente aggrappata all'ultimo catenaccio. -Cosa fai lì? Cosa aspetti?! C'è Peter qui fuori! Non senti?!- La sua voce, in parte impastata dal pianto, aveva assunto una tonalità iste-rica. -È tuo figlio!!- E di tutta risposta, l'impietoso lamento risuonò più forte che mai nelle loro orecchie.
Danley riguardò la vecchia fotografia. E rivide il sangue. Dio, tutto quel sangue! Suo figlio era stato straziato, stritolato, masticato dai denti degli ingranaggi. Ed ora era lì fuori? Che si lamentava nel buio e grattava debolmente alla porta? Ed era vivo?! Dopo essere morto in quel modo era ancora vivo?!
Staccò gli occhi dalla fotografia e, mentre il lamento tornava a sferzargli il cuore, afferrò freneticamente la mano d'avorio che quasi gli sfuggì di mano e strinse il pugno e gli occhi più che poté.
"Dio!" Pregò. "Dio, fai che non sia vero!!"
E in quel momento arrivò lo schianto del terzo catenaccio.
Non osò riaprire gli occhi; sentì solo il chiavistello che girava e la folata di freddo che veniva dalla notte. Per un lungo, lunghissimo momento non sentì nient'altro. Poi Magda parlò.
-Non c'è nessuno.- disse la sua voce delusa, fioca e lamentosa, -Non c'è nessuno.-
Danley aprì gli occhi, alzò la testa, e la vide mentre si sporgeva oltre la soglia e guardava in tutte le direzioni. La udì anche chiamare debolmente il figlio, ma il vento trascinava via il più di quel richiamo: -Peter. Peter. Non c'è nessuno... non c'è nessuno... solo il vento...-
Sebbene fosse molto freddo la moglie non richiuse la porta che molto tempo dopo. Dopo aver cercato e chiamato ed atteso. E quando lo fece, appoggiandosi sconfitta all'uscio con la schiena, si fermò a guardare il marito con occhi pieni di lacrime.
-Non c'è nessuno. Nessuno.- Disse. -Solo il vento.- Danley abbassò la testa.
E sciolse il pugno.
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