CONCLUSIONI
Il trattamento riservato dalla stampa inglese alle notizie
relative all’Irlanda del Nord ha seguito binari fissi,
sebbene in questi ultimi anni, quale conseguenza dei nuovi
avvenimenti, si sia creata una confusione maggiore. Così
risulta più difficile determinare la posizione dei
giornali.
Il Times
e il Guardian
si sono generalmente tenuti vicini alle posizioni assunte
di volta in volta dal governo e raramente si sono pronunciati
in prima persona con commenti alle notizie, comunque pubblicati
in apposite sezioni distinte dagli articoli normali.
Mentre i media stranieri hanno sempre avuto la possibilità
di esprimere il proprio punto di vista piuttosto liberamente,
quelli inglesi si sono trovati costretti a creare uno stile
giornalistico in grado di apparire imparziale, in quella che,
dopotutto, è una guerra civile. E questo non è
affatto facile. Non ci sono problemi a chiamare bomba una
bomba, ma quando il luogo dell’esplosione ha due nomi,
Londonderry e Derry, lo stesso fatto di scegliere l’uno
piuttosto che l’altro implica prendere posizione a favore
dei protestanti o dei cattolici.
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Questo problema si aggravò dopo l’arrivo delle
truppe inglesi nell’Ulster nel 1969. A quel punto, i
giornali inglesi si trovarono in un vicolo cieco e, per essi,
divenne ancora più difficile non prendere posizione.
Così, nacque uno schema interpretativo semplicistico,
per cui i soldati erano i buoni e tutti gli altri erano i
cattivi.
Questo modo di vedere le cose risalta immediatamente non
appena ci si proponga di esaminare le azioni di violenza e
le manifestazioni di rivolta. Sia il Guardian
sia il Times
si preoccupano di illustrare minuziosamente la tecnica adottata
dai terroristi, come se stessero ricostruendo lo scenario
di un libro giallo (non a caso il Guardian
ricorre volentieri ad un coinvolgente tono romanzato), ma
evitano di esporre le ragioni dei rivoltosi. Abbondano, invece,
le dichiarazioni ufficiali di condanna.
Un osservatore obiettivo che si ponesse in modo critico nei
confronti dell’operato della stampa, si troverebbe nella
scomoda posizione di dover quasi difendere gli autori di tanti
crimini orrendi. Ma un caso come quello dei Guildford Four
dimostra che è giusto valutare sempre criticamente
ciò che la stampa dice, soprattutto quando essa, nonostante
la propria presunta autonomia, dipende notevolmente dagli
organi governativi.
Quando si passa ad esaminare il comportamento della stampa
inglese in occasione degli accordi diplomatici e dei tentativi
per la pace, si nota subito che lo schema buoni-cattivi non
è più così facilmente adottabile. In
queste occasioni i giornali privilegiano un processo di personificazione,
cosicché gli accordi anglo-irlandesi non sono patti
fra due Stati sovrani, bensì intese fra due persone,
nella fattispecie i due primi ministri.
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In questi frangenti la stampa deve anche superare la difficoltà
di un confronto con eventi scarsamente visualizzabili e di
limitata carica emotiva, dunque di difficile presa sul pubblico.
Tutto ciò spiega come mai gli articoli ad essi dedicati
non siano sempre così numerosi come sarebbe forse lecito
aspettarsi.
Volendo delineare un quadro generale, dal presente studio
è possibile dedurre alcune regole-cardine del giornalismo
inglese in Irlanda del Nord, qui di seguito enunciate:
- standardizzazione: le notizie riportate
dai giornali sono, nel complesso, le stesse e vengono trattate
in maniera analoga, in quanto la loro divulgazione dipende
da un apposito organo militare che si occupa dei rapporti
con la stampa;
- decontestualizzazione: il terrorismo
viene presentato come assolutamente inspiegabile ed irrazionale.
Così non si dice nulla circa le condizioni di vita
in Irlanda del Nord, dove la disoccupazione è a livelli
allarmanti e la presenza militare disturba la privacy dei
cittadini spesso sottoposti a perquisizioni inutili. Se
I terroristi sono presentati come gli unici responsabili
dei disordini e se non si spiegano le loro ragioni, diventa
più facile ottenere l’appoggio dell’opinione
pubblica che non può accettare la violenza, soprattutto
quando essa è insensata e diretta contro tutti, indifferentemente;
- personificazione: I giornali riportano
in abbondanza le dichiarazioni delle autorità, cosicché
possono evitare d’impegnarsi in prima persona. Prima
di queste citazioni, viene fornita una sorta di carta d’identità
del locutore, talvolta accompagnata da una sua foto. Così,
la vita politica è presentata come un giallo, ricco
di drammi e colpi di scena, in cui lavorano attori familiari;
- ripetitività degli schemi interpretativi:
questa regola vale soprattutto nell’ambito del terrorismo,
dove è facile dividere I buoni dai cattivi, per cui
tale schema viene impiegato abitualmente. Anche questo concorre
alla standardizzazione delle notizie.Per quanto riguarda
le vicende diplomatiche, invece, le cose si complicano.
Così, si tende a privilegiare il punto di vista inglese
su quello irlandese, ma I giudizi sono più cauti.
Inoltre, ultimamente, lo scenario è talmente cambiato
che I tradizionali schemi interpretativi non sono quasi
più adottati;
- semplificazione: è una diretta
conseguenza della regola sopra enunciata e della decontestualizzazione.
Solo a partire dalla fine degli anni Ottanta, sono aumentati
gli articoli di approfondimento. Ma gli stereotipi sono
duri a morire, soprattutto per quanto riguarda i terroristi
"pazzi, codardi e sanguinari".
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I quotidiani esaminati si comportano anch’essi secondo
queste regole, con rare eccezioni più frequenti sul
Guardian
dove, talvolta, ci si preoccupa di descrivere la situazione
in cui versano i "nemici", come dimostra il caso
della rivolta alla prigione di Maze. Per il resto, non ci
sono grandi differenze rispetto al Times
ed entrambi tendono ad assumere posizioni filogovernative,
anche se, come già accennato, attualmente questi giornali
accolgono più punti di vista.
Oggi, regna un certo disorientamento che ha come conseguenza
positiva l’aumentata disponibilità ad indagare
e a spiegare le notizie. Ma, d’altro canto, non c’è
più nulla di fisso e chiaro, e, quando è possibile,
si continua a ricorrere ai vecchi schemi d’interpretazione.
Per quanto riguarda la notiziabilità di ogni evento,
ossia la sua attitudine ad essere trasformato in notizia,
essa dipende sostanzialmente dal numero di persone coinvolte,
dalla loro popolarità, dalla vicinanza del luogo in
cui il fatto è avvenuto e, naturalmente, dalla volontà
degli organi ufficiali a divulgare la conoscenza dell’evento.
Senza dimenticare che un fatto in grado di alterare la normalità
delle cose è sovente considerato più notiziabile
di un altro, magari più importante, ma ormai usuale.
Questo complesso di fattori aiuta a spiegare come mai un
attentato nel centro di Londra o, comunque in Inghilterra,
riceva una copertura molto più ampia rispetto ad un
avvenimento analogo accaduto a Belfast.
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Dal momento che il Times
e il Guardian,
oggetto del presente studio, appartengono alla cosiddetta
stampa di qualità, si può ora affermare che
il fatto di rivolgersi a lettori dal livello culturale medio-alto
non impedisce loro di essere troppo spesso superficiali e
di ricadere in giudizi sbrigativi e non sempre argomentati.
Anche se, rispetto ai giornali popolari, evitano i titoli
a caratteri cubitali, non definiscono sensazionale una notizia
che non lo è, e non cercano di danneggiare l’immagine
pubblica delle persone importanti, creando scandali dove non
ve ne sono.
All’inizio dei troubles (disordini), i media
inglesi consideravano l’Irlanda del Nord quale parte
reale del Regno Unito piuttosto che alla stregua di un possedimento
coloniale. Ma, col passare degli anni, poiché la situazione,
anziché risolversi, si aggravava, i media cominciarono
a collocare questi eventi in un contesto esterno. Così,
pur pubblicando gli articoli relativi all’Irlanda del
Nord nella sezione dedicata alle notizie interne, attualmente
i quotidiani inglesi cercano di non lasciarsi coinvolgere
troppo da questo problema che, del resto, è stato a
lungo pressoché ignorato dagli stessi cittadini inglesi,
almeno fino a quando anche loro non sono diventati vittime
del terrorismo.
Fra tutti gli articoli esaminati, sono molto pochi quelli
che si riferiscono direttamente a fatti avvenuti nell’Ulster.
Non si tratta di una scelta metodologica, bensì è
la conseguenza del tipo di copertura giornalistica ad essi
riservata.
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A questo punto, può essere interessante confrontare
l’approccio inglese con quello irlandese. La stampa
della Repubblica d’Irlanda è probabilmente più
a destra di quella britannica; d’altro canto l’Ulster
è una delle questioni fondamentali della politica irlandese.
Il problema è quindi visto in termini più articolati:
gli episodi di violenza non sono totalmente predominanti e
i giornalisti irlandesi a Belfast tendono piuttosto a seguire
l’evoluzione politico-sociale della provincia. Le versioni
ufficiali (esercito e amministrazione inglesi) non vengono
accettate acriticamente, e l’evoluzione "militare"
del conflitto tende ad essere posta in secondo piano. Ne risulta
quindi un’impostazione qualitativamente diversa: i giornali
irlandesi non vedono l’Ulster come una tragedia in cui
personalità varie si scontrano senza apparenti ragioni,
ma piuttosto come un complesso di problemi, identificati in
particolare nei rapporti comunitari, negli sviluppi economici
e specialmente industriali, e nella questione delle garanzie
per la minoranza cattolica. Si tratta cioè di un’impostazione
più "europea" che "britannica".
Per quanto riguarda i media nordirlandesi, essi rispecchiano
la struttura sociale costituita da tante comunità.
Il senso d’integrità territoriale è rafforzato
da una diffusa autocensura: ognuno legge solo ciò che
lo riguarda, e quando deve appoggiarsi ad una fonte "neutrale"
quale la televisione, egli si porta dietro i propri pregiudizi
e le proprie interpretazioni.
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The Belfast Newsletter ha un pubblico in prevalenza
protestante, mentre l’Irish News si rivolge
ai lettori cattolici. Questi giornali sono:
il pepe e il sale del giornalismo dell’Ulster:
essi riportavano gli eventi di ogni giorno quasi con la coordinazione
e l’accordo che uno potrebbe aspettarsi dal Wall Street
Journal e dal Morning Star.
Solo il serale Belfast Telegraph, sia per il suo
pubblico sia per i suoi contenuti, è potenzialmente
un elemento d’integrazione fra le diverse comunità.
Oltre a questi quotidiani provinciali, si contano più
di trenta settimanali regionali, tutti quanti fedeli alle
idee politiche del loro pubblico.
L’ideologia prevalente nella comunità di Bogside,
sostenuta dalla Chiesa, dalla scuola e dai nazionalisti, è
appoggiata dal Derry Journal, accanitamente anti-Unionista,
appassionatamente a favore del Fianna Fail, rispettosamente
Cattolico ed istericamente anti-comunista. Non ha mai scritto
‘Irlanda del Nord’, sempre ‘Irlanda "del
Nord"’; mai ‘Londonderry’, sempre ‘"London"derry’:
Persino la punteggiatura era patriottica.
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Durante i disordini, sono comparsi numerosi quotidiani legati
alle singole comunità e libelli politici, come se le
fonti tradizionali d’informazione fossero corrotte.
Così, si è cementata la solidarietà comunitaria
e, dove era impossibile creare giornali, sono nate radio-pirata,
in gran parte responsabili dell’aggravarsi della situazione
e delle frequenti rivolte.
A questo proposito, negli ultimi vent’anni si è
assistito anche ad un dibattito circa le possibili conseguenze
negative che una copertura giornalistica troppo massiccia
potrebbe avere sull’opinione pubblica e sugli stessi
terroristi, i quali sarebbero incoraggiati ad incrementare
gli attentati data la risonanza riservata a questi ultimi
dai media.
Sia il Times
sia il Guardian
si sono fatti a più riprese interpreti di queste preoccupazioni,
mostrando quasi sempre un atteggiamento critico nei confronti
del bando televisivo deciso dal governo contro il Sinn Fein
e considerato un’indebita ingerenza nei diritti dei
giornalisti.
Questo dibattito ha, dunque, fornito ai giornali una delle
rare occasioni per rivendicare quella loro presunta indipendenza
così spesso negata dai fatti.
Contemporaneamente, però, l’appoggio al governo
è stato spesso recuperato grazie al sostegno che la
stampa ha fornito all’esercito inglese di stanza nelle
Sei Contee, almeno fino a quando gli eventi di questi ultimi
anni non hanno rimesso in discussione l’operato militare
britannico.
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In questa nuova situazione piuttosto caotica, dove le vecchie
regole hanno cominciato a vacillare, agli elogi per le decisioni
governative si sono sempre più spesso alternate le
critiche, di cui è un chiaro e significativo esempio
l’articolo pubblicato dal Times
il 10 agosto 1994 e già analizzato in questa sede.
Se si può osservare una certa continuità nella
procedura seguita dalla stampa inglese fino al 1993 compreso,
è possibile altresì affermare che la situazione
è cambiata dopo l’inizio concreto del processo
di pace nel 1994.
Improvvisamente, i giornalisti si sono trovati a dover affrontare
una realtà in rapido mutamento che avrebbe richiesto
una notevole capacità di stravolgere gli schemi tradizionali
per mettersi al passo coi tempi. Invece, la stampa è
apparsa un po’ disorientata e in balìa degli
eventi fino a quando, con le bombe del febbraio 1996, non
si è ritornati a quel clima di violenza che aveva da
sempre caratterizzato la storia di questa terra martoriata.
A questo punto, i giornali hanno avuto la possibilità
di tornare alle vecchie abitudini, riadottando nella maggior
parte dei casi i vecchi schemi interpretativi, anche se va
riconosciuto ed apprezzato il tentativo di procedere ad analisi
più attente contestualizzando i fatti senza bloccarsi
alle prime emozioni da questi suscitate.
È comunque sempre difficile dare un’interpretazione
obiettiva di una situazione presente. Sarà il tempo
a dire come e se il trattamento giornalistico dell’Irlanda
del Nord avrà conosciuto in questi anni cambiamenti
importanti e necessari.
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