Il termine Sàmkhya si può tradurre con "enumerazione", e si fa risalire per tradizione alla figura di Kapila, ritenuto una delle incarnazioni di Vishnu, e vissuto probabilmente nel VII secolo a.C.; a lui in merito viene attribuito il Samkhya pravacana sùtra (=sutra dell'insegnamento del Sàmkhya) che pare però risalire al XIV secolo d.C. Il Sàmkhya è un sistema filosofico classico che elenca tutti i principi costitutivi del reale, composto da 69 brevi strofe (o 72 nei Commentari); alcune Upanishad e il Mahabharata contengono molti elementi di questa corrente. Questa si presenta come un dualismo fra due elementi: il prakriti (lett.: procreatrice, quindi si potrebbe ricondurre al nostro concetto di natura, natura creatrice) e il purusa (lett.: uomo, con accezione di principio spirituale nell'uomo e negli esseri viventi in genere, ben riconducibile al nostro concetto di "Spirito", anche se nel pensiero filosofico europeo non si ha un termine riconcibile a questo concetto), con in aggiunta tutta una serie di altre sostanze che così permettono tale nome a questa corrente, che tradotto vuole letteralmente significare «numero», ma anche «ragionamento» e «riflessione filosofica». Il fine è quello di cancellare il dolore, non quello fisico però; la conoscenza era nei veda il modo di pervenire a questa soluzione, qui invece la conoscenza non basta, i sacrifici non depurano l'uomo, ma al contrario lo contaminano; l'unico modo per attingere alla libertà è conoscere la realtà, e l'autore ne fornisce una via molto particolare e suggestiva. La prakrti è una specie di realtà materiale con la quale sono costituite tutte le cose del mondo materiale ma anche la nostra parte empirica, i sensi, e tutto quello che ci rende "vivi". Se non ci fosse il purusa, il Sàmkhya potrebbe apparire una dottrina materialistica, cosa che invece non è, poiché il Sàmkhya analizza continuamente i ragionamenti che fa l'individuo. Una psiegazione migliore si ha dalla dottrina dei guna (qualità o attributi del reale). Ciò che appare dall'esperienza risulta così composizione di tre elementi, i tattva:
il sattva, che illumina le cose;
il rajas, che le attiva;
il tamas, che le limita.
Il significato di queste tre parole sanscrite ha un campo semantico così ampio che per noi va a termini riguardanti la materialità sino alla psicologia e le cose non tangibili.
Il sattva ad esempio connota nella materia la luminosità, ma anche la leggerezza, e su altri registri addirittura l'eccitazione, o più in alto ancora una sorta di gioia interiore. Il tamas invece è il contrario del sattva, e sta a rappresentare le tenebre, il buio, con sfaccettature di significato che concernono il peso (il peso di una pietra ecc), l'inerzia mentale la stupidità di un individuo nel suo pensiero eccetera. Potrebbe tutto questo sembrare nuovamente rappresentazione di un dualismo, ma in realtà non lo è, nel significato cartesiano del termine.
Il rajas, per finire, è una sorta di via di mezzo dei due elementi prima chiariti, che determina l'insofferenza, la tensione, rappresentando nella scala il principio d'instabilità.
Quando
* questi tre elementi si trovano in equilibrio, si ha la stasi, non si produce nulla e si ha un'energia potenziale, quando invece tale equilibrio si compromette (e questo avviene "naturalmente", senza la spinta di niente e nessuno, ma solo per volere della materia) si crea l'universo, si ha l'evoluzione (parinàma). Rotto l'equilibrio, ogni elemento cerca il suo corispondente (sattva con sattva e così via), finché si forma una massa detta buddhitattva (condizione/disposizione mentale). Tutta questa massa attrae lo "spirito", il purusa. Eppure la sua immagine, riflessa come in uno specchio, nella materia è solo un'ombra, la materia in effetti riflette lo spirito, e si serve di questo riflesso, e dello spirito stesso, per poter essere guidata. Il purusa si crede così incatenato, perché quello che lo lega è solo la materia: a questo punto interviene il Sàmkhya, che è portavoce di questo fraintendimento. In questo tranello lo spirito è anche convinto di agire, pensare ecc come la materia, sentendosi più che parte di essa; anche la materia sta fingendo però: tutte le facoltà dove predomina il sattva sono ora più intelligenti, illuminate. Come una donna che amalia l'uomo, così la natura dispiega davanti a se' le sue azioni, eppure questa associazione che avviene fra materia e spirito è creata solamente per far rendere conto allo spirito che egli è immobile, per fargli ricordare che non è materia. Poiché questo viaggio non avviene una sola volta, ma si ripete tante volte quanti sono gli spiriti presi dalla materia, dall'illusione che essa crea, il Sàmkhya affermò la molteplicità degli spiriti.
Quando la materia si è messa in moto cominciano ad intevenire gli altri due elementi, il rajas e il tamas, liberi anche loro di seguire la loro natura.
Per il Sàmkhya il mondo è in seguito scaturito dalla mente, perché essa ha il compito di riconoscere, e sotto l'influsso del sattva, del rajas o del tamas si avranno caratteristiche differenti nell'individuo, e si va incontro al «senso dell'io», meglio inteso col nome di "egoismo" (ahamkàra, aham=io). Continuando a seguire questa linea, il primo elemento dell'evoluzione è detto mahat (=grande) per caratterizzare il macrocosmo, e poi la buddhi (=capacità intellettuale di effettuare distinzioni), il microcosmo. Con la comparsa del ahamkàra la strada si dirama, infatti a secondo che prevalga il sattva o il tamas si avrà una linea pura di 11 sensi puri, e una linea di 5 elementi sottili; entrambe le linee citate hanno bisogno del tamas per attivarsi (questo infatti non era ancora intervenuto nel ahamkàra). Tali elementi sono, per la prima serie (la prima serie elenca organi di senso (=indriyàrtha), seguendo una logica percettiva, e ponendo anche un corrispettivo mentale (=manas):

elementi intellettivi (=buddhìndriya):

orecchio,
pelle,
occhi,
naso,
lingua;

sensi d'azione (=karmendriya):

voce,
mani,
piedi,
ano,
genitali.


Questi elencati diventano 11 aggiungedo il manas.
Per quel che riguarda i 5 elementi sottili (=tanmàntra) essi sono:

suono,
sensazione tattile,
colore,
sapore,
odore.

Arriviamo ai 25 elementi che danno il nome a questa filosofia (secondo quanto dice Gaudàpada) aggiungendo la buddhi, l'ahamkàra, la prakrti e la purusa. A questo punto l'evoluzione ha fine, perché non ci sono più differenziazioni nella materia: per percepire qualcosa servirà adesso la compartecipazione della mente, del senso colpito, del manas e del ahamkàra. Tutti i mutamenti che avvengono di continuo intorno a noi non sono che cambiamenti di schemi già presenti, di aumento dei tattva (dopo che la materia si è scissa completamente nulla la può più influenzare). Arrivati alla conclusione del parinàma (=evoluzione) si può anche incorrere in un processo involutivo, questo sempre per la legge del karman, e si accende quindi la serie di rotazioni del Sàmsara. Ma non si è ancora chiarito a sufficenza sul rapporto fra prakrti e purusa; il purusa è quell'entità presente nell'essere che fa da principio spirituale, ma che per questo non è alternato al prakrti, ovvero dov'è uno non v'è l'altro, al contrario il purusa fa da specchio al prakrti, è spettatore della natura che si dispiega al suo cospetto. Per quanto possa sembrarci inutile, tale ragionamento è corretto: a cosa servirebbe infatti una danzatrice se non avesse un pubblico? Chi dovrebbe intrattenere? Questa metafora è stata usata nel Samkhya col nome di Samkhyakarika: il purusa e il prakrti sono la danzatrice e lo spettatore, e il filo conduttore dei due è quello che noi chiamiamo l'unione di anima e corpo. Riassumendo, il purusa si identifica con l'organismo fisiologico, l'essere attivo, con cioé il manas (=senso comune) e il buddhi (=intelletto). In questo modo il purusa fa agire, cercare, provare eccetera, e ci fa capire, quando ci perdiamo o entriamo in contraddizione, che sfruttandolo possiamo evitare tutto il male della trasmigrazione, arrivato allo stato detto "kaivalya" (=isolamento spirituale). Si può notare qui una certa analogia col vedanta, anche se una differnza sostanziale c'è: per il vedanta l'atman (quello che per il Samkhya è il purusa) è unico, mentre per il Samkhya ci sono tanti purusa e un solo prakrti: i purusa si fondono col prakrti, ma non tutti riescono a uscire fuori dal samsara, svincolandosi ovvero dalla natura. Poiché anche nella concezione dell'evoluzione presente nella Sàmkhya è concepita la legge del karman, il purusa sarà quel qualcosa che permetterà di affrontare le trasmigrazioni, perché è qualcosa di incorporeo, eppure in realtà è la natura a trasmigrare, perché, sempre seguendo l'esempio della danzatrice con lo spettatore, questo intenderà che non c'è più nessuno spettacolo, nulla per cui gioire o ratristarsi.
Dalla teoria dei tattva si possono ricavare caratteristiche umane: la predominanza di sattva indicherà una personalità più saggia, quindi più spirituale (illuminata, in effetti il sattva connotava anche la luminosità), quella di rajas un individuo forte e intraprendente (perciò dinamico e passionale), quella di tamas invece implica ottusità, apatia e debolezza.
Con l'evolversi della scuola di pensiero Sàmkya si accentuò sempre più il carattere maschile del purusa, sempre in base al significato primo che ha questo termine in sanscrito, e per questo motivo a considerare sempre più la natura come elemento femminile; le scuole tantriche recepirono questi impulsi, e fecero dell'unione fra spirito e natura un motivo sempre maggiore per arrivare alla liberazione.

*Quella che segue è l'interpretazione del Sàmkhya kàrikà, mentre altri commenti seguono vie differenti; tale interpretazione attinge liberamente a 3 Upanishad, più precisamente alla Katha, alla Prasna e alla Shvetàsvatara.
   
   

L'Induismo

    Il Buddhismo

   

Il Giainismo
   

Il Brahmanesimo

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