Il Brahamanesimo, che è incluso insieme al
Visnuismo e al Shivaismo nell'Induismo (anche se il Brahmanesimo
è nato prima dell'Induismo), si può dire l'unica religione dell'India,
e tuttora impera in quella forma che gli
Europei chiamano «induismo». La caratterisca principale che lo diversifica dal periodo vedico consta nella minore importnza attribuita alla divinità, a favore del sacerdote; la divinità principale divenne Prajapati (signore delle creature), padre degli dei e dei demoni. Dal II millennio a.C. divenne la forma predominante
della civiltà indo-ariana. Già all'epoca dei Veda venne ad affermarsi la classe sacerdotale, ma si
rafforzò nel secondo periodo dell'epoca vedica stessa, quella
che comprende i Yajurveda e le Upanishad. In questo periodo si
affermano ulteriormente le caste e i rituali, tanto che le
cerimonie vengono tutt'oggi celebrate alla stessa maniera dai
brahmani. In questa dottrina si ha la
concezione di una divinità tre volte creatrice (Trimurti, «di
tre corpi»): Brahma, Visnu, Siva .
Le tre divinità ebbero però come maggior potente Brahma, che
era il divino in senso più pieno e puro; successivamente Brahma
finì per identificarsi in uno o nell'altro dei due membri della
triade, diventando così una diade, tanto che poi si ebbe una
visione unitaria con l'unificazione ulteriore di Visnu con le due
divinità che si erano fuse in precedenza: si arrivo quindi a
chiamarli Hari-Hara: come è facile notare, alla fine si ebbe una
tendenza monoteistica.
Questi i caratteri salienti dell'induismo:
si ha una radicale modifica del pantheon mitologico del
brahmanesimo, c'è un nuovo indirizzo dell'esperienza mitologica
e una grande varietà di sette. Oltre alle sette si crearono poi
culti locali: in India c'è sempre stata, e c'è finora, una
grande libertà di culto. Lo spirito e la materia sono distinti
perché il primo è eterno, mentre la seconda è mutevole: così
l'anima è costretta a trasmigrare in continuo finché si sia
purificata, e ciò può avvenire in due modi: con una vita
ascetica e contemplativa o uniformandosi a un rigido ideale etico:
solo così personificata può darsi al dio Visnu per l'eternità. Il sacrificio è il fulcro di questa religione, e solo grazie ad
esso si può aspirare a diventare dei, perchè anche loro hanno
dovuto percorrere questa strada per diventare tali. Il sacrificio
deve essere eseguito secondo i riti prescritti, il più piccolo
errore può rendere tutto vano. Anche la creazione è concepita
come un sacrificio di un essere supremo. In questo senso, il modo migliore per compiere sacrifici era ritirarsi nella foresta e vivere da asceta; l'ascetismo fu rivolto soprattutto a due fini:
all'acquisto di poteri magici;
alla conquista della perfezione spirituale.
Le pratiche esteriori dell'ascetismo consistono in castimonie,
penitenze, digiuni, vigilie e particolari posizioni del corpo,
mentre la contemplazione e la meditazione costituiscono l'allenamento
spirituale. La condizione fondamentale per tale riflessione è la
purezza della condotta morale.
Ma questa religione di sacrificio non si confaceva al popolo, le
antiche divinità vediche avevano perso molta importanza per la
concezione propria del brahmanesimo. Si ha quindi un nuovo
assetto mitologico:
divinità diverse ma simili si fusero e i
vecchi nomi rimasero per la nuova creata.
di ogni divinità venne sottolineata una
caratteristica che diede particolare consiistenza alla divinità
stessa.
La nuova mitologia appare in pieno sviluppo nel Mahabharata e nel Ramajana. Contemporaneamente si ha anche
un cambiamento nella concezione del rapporto uomo-dio: la
dedizione a se', la completa subordinazione alla divinità
adorata costituiscono il mezzo per giungere alla salvezza
spirituale. Ma una via non esclude storicamente l'altra: nella
maggioranza sono indirizzi coesistenti, perché lo spirito
indiano concilia i contrari. In questo modo si ha la formazione
della triade divina: (l'idea di raccogliere in tre le divinità
è antica in India):
Brahma=creatore
Visnu=conservatore
Siva=distruttore,
ma questa concezione venne accettata solo in teoria. Dalla Bhagavad gita conosciamo la divinità Visnu-Krsna, ovvero la
personificazione umana in Krsna di Visnu che si presenta, e poi
si rivela, alla fine del canto incluso nel Mahabharata: già il
suo duplice nome, Visnu-Krsna, mostra che questa divinità ha
prima una derivazione popolare più che brahmanico. Ma sempre
questa divinità ci dà l'esempio di quante suddivisioni esistano
nell'induismo: tantissime sette di ognuno dei tre dei della
triade. Poichè si era giunti ad un numero vastissimo, si
provvedette nel XI sec. a unriordino, e la creazione quindi di
4 scuole. Così Visnu si occupa del governo delle anime e della
materia e predispone quali si salveranno, quali dovranno
trasmigrare, quali saranno dannate. Ve n'è un'altra delle
numerose del visnuismo che è rappresentata da coloro i quali
adorano Rama, grande personaggio indiano di cui si parla nel
Ramayana. Rama era l'incarnazione del dio Visnu. Abbiamo qui visto il tema della trasmigrazione: ebbene, fu nell'età delle Upanishad che si definì la dottrina della trasmigrazione;
nel periodo anteriore l'interesse dell'Indo-ario era rivolto a
questa vita, deprecando la morte come il peggiore dei mali,
quantunque l'uomo virtuoso avesse in serbo una vita di gioie nel
mondo celeste. In seguito si fece strada l'idea che la vita d'oltretomba
non fosse infinita, ma indefinita, e che, sebbene l'uomo continui
a vivere dopo la morte terrena, l'uomo potesse comunque
incontrare la morte definitiva che era determinata dai meriti
acquisiti in vita. La vita non è più quindi un periodo limitato
fra una nascita e una morte, ma una linea senza fine le cui
tacche sono le morti. La vita si trasforma quindi in samsara.
Ogni nostro atto produce un sedimento che accompagna l'anima
determinando le fasi della sua trasmigrazione, e solo quando il
ciclo si interrompe, si raggiunge il nirvana. La vita può
spostarsi dalla terra al cielo, dal regno animale a quello
demioniaco, ma queste pene sono sempre commensurate al merito o
al demerito.
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