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UNDICESIMA
TAPPA
09/01/1998
BENINCHAB-BANC
D'ARGUIN
(jeep)
Ci svegliamo alle 7.00 e dopo colazione
andiamo a Beninchab a riempire le taniche di acqua buona. A Beninchab c'è
la migliore acqua del Nord Africa e ce la danno gratis. Vorremmo comperare
anche delle bottiglie d'acqua, ma non ce ne danno, o non ce le vogliono
dare!?
Ripartiamo da Beninchab e ci inoltriamo
in una zona in cui la pista è stata sommersa dalle dune che si spostano
in continuazione e all'improvviso la jeep che ci precede salta su una duna
e si pianta subito dopo. Per fortuna la duna è poco più di
una cunetta e non succede nulla, ma la botta, per i passeggeri è
stata forte. Passata questa zona di dune la velocità si alza un
po' (60 km all'ora) perchè torniamo a viaggiare su un tavolato piatto
e duro. A mano a mano che si avanza verso l'oceano le dune si trasformano,
diventano bianche, composte di conchiglie frantumate e l'oceano si fa sentire
anche nell'aria.
Verso le 12.00 arriviamo, finalmente,
all'Atlantico e qui prendiamo la direzione Nord e viaggiamo sulla spiaggia.
Il fondo è duro, ma ogni
20 o 30 metri c'è una cunetta trasversale che ci fa sobbalzare e
rende il viaggio uno stress unico.
Alle 13.00 ci fermiamo per mangiare;
una breve sosta in quanto la strada da percorrere è ancora molta.
Il viaggio riprende su questo fastidioso fondo a cunette. Dopo due ore
siamo distrutti dai sobbalzi.
In compenso si cominciano a vedere
uccelli di tuti i tipi che se ne stanno tranquilli sulla spiaggia o poco
al largo.
Ogni tanto con la jeep solleviamo
stormi enormi di gabbiani e sterne reali che dopo il nostro passaggio
tornano a posarsi sulla battigia. In acqua si scorgono fennicotteri rosa,
pellicani e qualche aquila di mare. Ad un certo punto il nostro autista
ci chiede se vogliamo comprare del pesce da un pescatore che incontriamo
sulla spiaggia. Ci fermiamo e comperiamo una trota di mare di quasi sei
chili per circa 15.000 lire. Appena la carichiamo sul cassone le mosche
che ci hanno perseguitato in questi giorni aumentano in maniera incredibile.
Ci si domanda da dove vengano. Arriviamo verso le 15.30 al paese di Amorabar
dove inizia il parco naturale del Banc d'Arguin: una delle oasi faunistiche
più importanti dell'Africa del Nord. Qui vengono a svernare decine
di specie di uccelli ed il mare è uno dei più pescosi del
mondo.
L'entrata nel parco ci costa 8.000
UM a notte a testa. Chiediamo se si può affittare una barca per
il giorno successivo per visitare le innumerevoli isole che stanno di fronte
alla costa, ma scopriamo che le barche da pesca possono portare solo 5
persone e che costano una follia (120.000 lire) e quindi, dopo una lunga
e travagliata votazione decidiamo di non prenderla. Ci inoltriamo nel parco
per pochi chilometri e montiamo il campo poco lontano dal villaggio tra
due alte dune ed andiamo sull'arenile a vedere da vicino gli animali che
popolano questo parco. Nicola porta la trota in riva al mare per lavarla
ma si accorge ben presto che la riva è una melma in cui si sprofonda
ed è difficile uscirne. In ogni modo, con cautela riesce ad avvicinarsi
all'acqua ed a lavare la nostra cena. La spiaggia sotto ai nostri piedi
sembra viva in quanto è letteralmente ricoperta di centinaia di
granchi violinisti, così chiamati per le dimensioni enormi di una
delle chele, che si nascondono nelle loro tane appena ci muoviamo.
E' uno spettacolo inconsueto vedere
e sentire la sabbia che vive di vita propria per noi che siamo abituati
alle nostre sterili spiagge piene solo di ombrelloni e radio.
I cormorani incrociano veloci sopra
le nostre teste mentre chiurli, beccacce, beccaccini ed altri uccelletti
più piccoli becchettano la melma. I pellicani se ne stanno fermi
su un'isoletta che sta di fronte alla riva. Cuciniamo il pesce alla meglio:
prima tentiamo di farlo allo spiedo, ma è troppo pesante; prepariamo,
allora un bel letto di braci e ci ficchiamo dentro parecchi sassi in modo
da fare una specie di griglia, e ci adagiamo sopra il pesce. La cosa va
un po' meglio, ma la grossezza del pesce impedisce la cottura all'interno.
Alla fine mettiamo il pesce direttamente sulle braci sacrificando un bel
po' di ottima carne. Mentre mangiamo, all'improvviso, sentiamo ululare
gli sciacalli. Un brivido corre lungo la schiena; hanno un guaito che assomiglia
a urla di neonati. Li vediamo scomparire velocemente alle nostre spalle.
Nonostante ciò dormiamo all'aperto. Verso mattina veniamo svegliati
proprio dagli ululati degli sciacalli che si sono avvicinati al campo attirati
probabilmente dall'odore di pesce che regna tutto intorno. Dopo l'inevitabile
spavento ritorniamo a dormire, questa volta con un bel bastone vicino.
(non si sa mai) |
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